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di cinque mesi, mentre il signor Ulrico si ubligasse non andare ove era la donna nè avvisarla, non la recavano a far quanto loro fosse piacciuto. La reina e tutti gli ascoltanti di questa loro proposta fecero gran risa e si beffavano di loro. Il che eglino veggendo, dissero: – Voi credete, madonna, che noi parliamo da scherzo e da gabbo; ma noi parliamo da dovero e desideriamo esser su ’l fatto a la prova, a ciò si veggia chi averà avuto meglior parere. – E durando la questione, il re Mattia intese il tutto. Onde venne ove era la reina, che s’affaticava levar di capo ai dui ongari questa lor frenesia. Come il re fu giunto, così i dui baroni il supplicarono che degnasse fare che ’l signor Ulrico si mettesse a far patto con loro, perchè essi di grado, non conducendo a effetto quanto si vantavano fare, volevano perder tutto il loro avere e che liberamente fosse donato dal re al signor Ulrico. Ma che essendo quanto affermavano, che il signor Ulrico promettesse la fede sua non offender la moglie, e si levasse da la sua falsa openione e credesse le donne esser naturalmente pieghevoli a le preghiere degli innamorati. Il cavalier boemo, che per fermo teneva la sua donna esser onestissima e leale e fedele, e credeva come al Vangelo al parangone de l’imagine, che in tutto quel tempo che era stato lontano mai non aveva veduta pallida nè nera, ma talora gialla, secondo che da alcuno era d’amore richiesta, e che subito ritornava al suo nativo colore, disse ai baroni ongari: – Voi sète entrati in un gran pecoreccio, dove anco a me piace di entrare, con questo patto, cioè che io vo’ sempre poter far di mia moglie ciò che mi piacerà. Del resto, io metterò tutto quello che in Boemia ho a scotto, con quello che voi detto avete di mettere, che la donna mia non recherete a far la voglia vostra già mai, e io non farò nè a lei nè ad altri di questo motto nessuno. – Contrastarono sovra questo più e più volte. A la fine, essendo a la presenza del re e de la reina e di nuovo stimolato il boemo da la trascuraggine dei dui ongari, egli così disse: – Poi che il signor Uladislao e il signor Alberto, – chè così i dui ongari si chiamavano, – sono pur disposti di mettersi a la prova di ciò che si vantano, quando sia con buona grazia e licenza vostra, sacro re e voi madama reina, io sono presto accordar loro quanto domandano. – E noi, – risposero gli ongari, – di nuovo affermiamo tutto ciò che abbiamo detto. – Il re fece assai per levarli da questa lite, ma dai dui ongari molestato interpose il decreto regale secondo che tra le parti era convenuto. I dui baroni, veduto lo scritto decreto reale, ne presero copia, ed il simile fece il boemo. Andarono poi i dui ongari