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di questo certissima fede. – E alora chiamato a sè il fido suo cameriero, che Guido aveva nome, così gli disse: – Guido, vogliamo darti moglie, tale qual noi per il nostro figliuolo eleggeremmo. Tu sposarai la figliuola di messer Bellincione che qui vedi, e noi per dote sua ti daremo il Casentino e molte altre nostre castella che sono in Val d’Arno. – Mandò poi a chiamar tutti i suoi baroni e gentiluomini di corte, e messer Bellincione andò e condusse la bella ed onesta Gualdrada, e l’imperadore, a la presenza di tutti manifestato il suo amore e la prudente e savia risposta de la vergine, si cavò un anello di dito di grandissimo prezzo e a Guido il diede, con il quale egli alora sposò la bella Gualdrada. Fu fatto quel giorno medesimo il privilegio de la dote che Ottone aveva promessa, e sempre egli si chiamò cavaliero di Gualdrada, e come fu da Guido sposata, l’imperadore la basciò in fronte e la raccomandò a Dio, e più non la volle vedere. Da Guido e da Gualdrada vennero due illustrissime famiglie, una dei conti Guidi e l’altra dei conti da Puppio, che tennero gran tempo la signoria che l’imperadore in Val d’Arno e in Casentino aveva data loro. Furono poi al tempo di Filippo Vesconte duca di Milano da questa nostra Republica discacciati, ed alcuni di loro si ridussero in Romagna, e da costoro sono discesi i conti da Bagno, ch’oggidì possedono in quello di Cesena molte castella.
Quanto s’ingannino, magnanimo signor mio, quei mariti che, sprezzato l’amore de le sposate lor mogli, a l’altrui maritate attendono, ancor che tutto il dì si veggia per i molti accidenti che accadeno, nondimeno da una novella, che già molti dì sono che scrissi stando a Roma ed ora al nome vostro consacro, potrete facilmente comprendere. Nè minor errore stimar si deve che commettino quelle donne, le quali, accorgendosi che i mariti per risparmiar quel di casa attendono a logorare quel di fuori, con ogni ingegno a porgli il cimiero di cervo in