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buone lettere, le quali, usandole in bene, come già fate, saranno cagione di rendervi ai futuri secoli immortale. State sana.


NOVELLA XVIII
Ottone terzo imperadore ama Gualdrada senza esser amato, e onoratamente la marita.


Voi dicevate, valoroso signore, che gran cosa vi pare, che una fanciulla, essendo da un innamorato ed ozioso giovine tentata e con frequenti ambasciate tutto il dì molestata, possa resistere, ed io vi risposi che veramente non direi che non fosse cosa di qualche difficultà, ma bene v’affermo che, sia chi si voglia, o uomo o donna, che non farà se non tanto quanto vuole pur che la persona si deliberi. E perciò che promisi narrarvi a questo proposito una bella istorietta, in questa nobilissima città ad una nostra gentildonna avvenuta, ora che occupato in cose de la guerra non sète, brevemente ve la narrerò. Devete dunque sapere che Ottone III imperadore, ritornando da Roma ove da Gregorio V, sommo pontefice, fu con solennissima pompa di corona imperiale consacrato, si fermò in questa città, essendo alora tutta la Toscana ubidiente a l’imperadore, il quale il governo di quella commise a Ugone marchese Brandeburgense, suo cugino, che era uomo di singular giustizia e di molta stima appo tutti i popoli. Qui ritrovandosi nel giorno di San Giovanni Battista, che è il padrone tutelare di Firenze, ed essendo ne la chiesa di esso santo a messa, ove era concorsa tutta la città, vide una bellissima figliuola da marito, il cui padre era messer Bellincione Berti dei Ravegnani. Aveva essa fanciulla il nome d’esser la più bella, vaga e leggiadra giovanetta, non solamente di Firenze ma di tutta Toscana, e ovunque ella andava traeva a sè gli occhi di quanti v’erano. Come l’imperadore la vide, meravigliosamente si dilettò de la vista di lei, la quale tanto gli piacque, che mentre ch’egli stette in chiesa sempre le tenne gli occhi fissamente nel bel viso, e tra sè ora questa parte di lei ora quell’altra contemplando e tutte sommamente lodandole, a poco a poco non se ne accorgendo, dal piacer della vista ingannato, assai più che a la gravità di tanta maiestà non conveniva, de le infinite bellezze di quella s’accese. A lui quanto più lui la mirava pareva più bella ogni ora, e tanto più che sempre scorgeva in lei qualche parte di bello, che prima veduta non