o d’istorici, e così dottamente l’opinione vostra con vere ragioni dichiaravate, che era stupore e miracolo a sentirvi. Ma che dirò io del giudicioso vostro giudicio, intero, oculato e saldo e non pieghevole in qual banda si voglia già mai, se non quanto la ragione del vero il tira? Meravigliosa cosa certo è quanto profondamente e con sottigliezza grandissima talora certi passi degli scrittori cribriate, ventiliate, e a parola per parola e senso per senso andiate di maniera interpretando, che ogni persona che vi sente ne rendete capace. Questo mi fa, veggendo che, quando un poema od altra scrittura avete in mano, scegliete il buono ed il meglio che v’è dentro e fate differenza da stile a stile, lodando ciò che meritevole è di lode, di modo che Momo il giudicio vostro morder non saperebbe, mi fa, dico, credere che, dicendo voi bene de le cose mie, l’affezione che mi portate, non v’inganni, essendo il giudicio vostro così sincero e da ogni parte dritto e fermo. Ora, chi udita v’avesse quel giorno che il dotto dottore e poeta soavissimo M. Niccolò Amanio venne a farvi riverenza, e che furono letti i due sonetti, uno della signora Cecilia Bergamina, contessa di San Giovanni in croce, e l’altro della signora Camilla Scarampa, quanto accomodatamente disputaste de l’ufficio del poeta e de le parti che deve avere chi vuol versi latini o volgari comporre, e quanto acutamente faceste chiari i dubii che proposti vi furono, e con quanta copia di parole pure e proprie, e con quanto bell’ordine il tutto dichiaraste, averebbe egli nel vero detto che non donna era quella che parlava, ma che alcuno dei più dotti e facondi uomini ed eloquentissimi che oggi vivano fosse stato il dicitore. Io per me so bene che non mi sovviene aver così copiosamente sentito alcuno parlare di cotal materia, come con mia grandissima sodisfazione ed infinita contentezza allora la vostra dichiarazione ascoltai. Il perchè quelli che ebbero grazia d’udirvi restarono tutti sì pieni d’ammirazione, che non sapevano che dirsi. Ma io mi sono lasciato troppo trasportare, non essendo questo il luogo debito a le vostre lodi, a le quali assai più purgati inchiostri si converrebbero. Pertanto ritornando a la mia novella, che fu allora da l’Alemanni narrata e poi da me scritta, quella al glorioso vostro nome dedico e consacro, acciocchè, se mai sarà chi le mie novelle, quando tutte saranno insieme, prenda in mano, conosca che da voi a scriverle mosso fui; e se nulla di buono in quelle troverà, ringrazii prima il dator d’ogni bene, il nostro Signor Iddio, e voi appresso da cui procede, e convenevoli gra-