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saputo, informò benissimo il frate di ciò che deveva domandarla. Venuto il dì assegnato, dopo desinare la donna montò in carretta e andò a santo Angelo, ove di già il marito era andato. Come la donna fu giunta, fece chiamar il suo padre ed entrò in un di quei camerini che sono a posta fatti per confessarsi. Da l’altra banda, pigliata la oportunità che da nessuno furono veduti, entrarono il ribaldo frate ed il matto geloso che andava cercando ciò che non averebbe voluto trovare, entrarono, dico, dentro il contracamerino. Quivi, cominciata la confessione e venutosi al parlamento dei peccati de la lussuria, la donna confessò il peccato suo che con l’amante faceva. – Oimè, figliuola mia, – disse lo scelerato frate, – non te ne ripresi io agramente l’anno passato, e tu mi dicesti che nol faresti mai più? È questo ciò che m’hai promesso? – Padre, – disse la donna, – io non ho saputo nè potuto far altrimenti, e di tutto questo n’è cagione la malvagia vita del mio marito che come sapete mi tratta, chè altre volte il tutto v’ho detto. Io son donna di carne e d’ossa come le altre, e veggendo che mio marito non si è mai di me curato, mi son proveduta a la meglio che ho potuto. E almeno fo io tanto che le cose mie sono secrete, ove quelle di mio marito sono favola del volgo, e non che in broletto se ne parli, ma non è barberia nè luogo ove non se ne canzoni. Il che dei fatti miei non avviene, anzi tutti m’hanno compassione e dicono che egli non merita così buona moglie com’io sono. Hollo io sopportato circa sette anni con speranza ch’egli devesse emendarsi e lasciar l’altrui femine, ma la cosa va di mal in peggio. A me duole di far ciò ch’io faccio, e so che offendo nostro signore Iddio; ma altro far non ne posso. – Figliuola mia, – soggiunse il frate, – egli non si vuol far così, perciò che queste scuse non vagliono. Tu non dei far male perch’altra il faccia, ma conviene che tu sopporti ogni cosa pazientemente e che aspetti che Dio tocchi il core a tuo marito. E forse anco tuo marito non fa tutto quello che dici. Ma chi è questo tuo innamorato? – Egli è, padre – disse la donna, – un giovine gentiluomo, che mi ama più che la vita sua. – Io dico, – rispose il frate, – com’egli si chiama. – La donna sentendo questo e avendo già udito predicare che ne le confessioni non si deveno nomar quelli con cui si commette il peccato per non infamargli, disse alquanto ammirativa: – Oh, padre, che mi domandate voi? cotesto io non son per dirvi. Bastivi che io confessi i miei peccati e non quelli del compagno. – Ora vi furono assai parole; ma, non volendo la giovane prometter di lasciar l’amante, il frate non la volle assolvere. Onde ella si levò del camerino ed entrò