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NOVELLA II (ili) 95 una ora mille anni che trovasse il marchese Nicolò e lo facesse uno poco ridere de la beffa fatta al guardiano e a li frati. Partito che egli fu, il maggiordomo fece che il guardiano li diede il procuratore del convento con uno altro frate in compagnia, e passo passo si inviò verso corte, e parca proprio che avesse la gotta a li piedi, cosi lentamente andava. Giunto che fu in corte, condusse li frati in una camera, dicendo loro che aspettassero quivi, perché in quello luoco farebbe recare tutta la apparecchiata vivanda. Restarono li frati in quella camera, non se ne accorgendo, di modo fermati che a patto veruno non ne potevano uscire, e meno non vi poteva persona alcuna in- trare. Cosi rinchiusi, stettero buona pezza senza accorgersi che ci fosse inganno nessuno. Ma veggendo che la manna dal cielo non pioveva, cominciavano a dubitare, né sapevano di che. 11 guardiano, non avendo fatto fare provisione alcuna per lo desinare de li frati, attendeva pure la venuta de le promesse vivande, che non comparivano. E più e più volte se ne andò a la porta del monastero, per vedere se tornava il suo procuratore. Ma non veggendo che alcuno venisse e l’ora del desinare essendo di buona pezza già passata, non sapeva che si pensare, e tuttavia indarno aspettava. Li frati altresi, che nulla avevano mangiato, stavano molto di mala voglia. Fra questo mezzo, poi che il Gonnella, non più prencipe, ebbe narrato al marchese la solennità de li cantati offici, andò con li suoi compagni; e gioiosamente desinato che si fu, ritornò dove era il marchese. Colà fece menare li dui frati, che sempre ne la camera erano stati rinchiusi, e disse loro: — Padri miei, voi direte al vostro guardiano come io avea buona e determinata volontà di dargli uno grasso e abondante disinare, e che pensi bene ciò che egli disse la quaresma passata a uno de li camerieri del signor nostro, che non volle assolvere «quìa voluntas prò facto reputa tur ». Io adunque tengo per fermo di avere intieramente a la promessa mia sodisfatto. Vada, vada a studiare, e impari meglio udire le altrui confessioni; ché se io in questo ho peccato, lo errore è da essere imputato a lui. — Il marchese disse che certo il Gonnella avea saviamente parlato. Partirono li frati