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S-l PARTE QUARTA mai. E tuttavia sento qui dirmi vitupèri e cose tanto ingiuriose, che mai non ebbero ardire dirmi in modo alcuno li greci, cui contra le vittoriose armi io più volte mossi. Medesimamente li popoli de la feroce Tracia finitimi al mio imperio, né gli sciti fieri e crudelissimi che più del ferino tengono che de l'umano, né i barbari de la Soria cui, venduto per ischiavo, si lungo tempo ho servito, furono mai si sfrenati di lingua contra me come io al presente provo li miei sudditi, li quali, quando altri mi ingiuriasse, se ragione, se umanità, se riverenza e se punto di civilità fosse in loro, deveriano in mio favore contra tutto il mondo prehder l'arme per difendermi e mantenermi ne lo stato mio, ne la mia nativa patria. Ma spero in Dio che vi aprirà gli occhi. Io non vuo' correre a furia in porre mano a l’arme. Ora ditemi: quando fu chi mai vedesse le cose de la Fiandra più fiorire e appo tutti li finitimi e ogni altra nazione essere in maggiore stima, in più riputazione e credito e in più riverenza, di quello che erano quando io quella reggeva e governava? Mai più non fu la gloria del nome fiammengo in tanta sublimità né in tanta eccellenza in quanta si è veduta al tempo che io il tutto amministrava. Ahi patria veramente a me ingrata! ingrati e perfidi vassalli miei! Sono queste le grate accoglienze, l’onorato e caro ricevimento che al vostro prencipe fate? cosi mi ricevete? Adunque io ritorno con si infausti auspici, con cosi contraria fortuna che debbia, dopo tanti miei perigliosi viaggi, dopo tanti danni, tanti infortuni e travagli e dopo superate tante difficultà, essere da li miei propri sudditi oltraggiato? Non sono già questi gli antichi buoni e lodevoli costumi, le benigne usanze e gli antichi modi e ospitali carezze che al partire mio di qui io ci lasciai. Gli uomini cangiati e tralignati si sono da la integrità e modestia de li santi avoli. Non è meraviglia adunque se io trovo la Fiandra cosi afflitta e male anzi pessimamente governata, poi che non uomini qui ritrovo, ma fiere crudeli, soperbe, inumane e scelerate. — Egli nel dire si riscaldava e pareva che in malediche parole fosse per disnodare la lingua e commovere qualche tumulto, quando il presidente del consiglio gli impose con agre e minacciose parole silenzio, dicendogli: