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38 PARTE TERZA casa. Né gli bastò d'averla benedetta ¡1 giorno, ché, essendo la notte restato col suo chierico in casa, come senti il romore, fatta prender la croce e l’acqua santa, volle salir di sopra. Ma tosto si pentì, perché veggendo cosi orrendo e spaventoso mostro, gettata in terra la croce e l’aspersorio, se ne volò furiosamente a basso. Ora, veggendo il padrone a nessun modo tanta seccaggine di romori cessare, deliberò trovar un’altra casa e vender quella; onde la fece offerire al canonico. Egli, che vedeva il suo avviso riuscirgli a pennello, se ne mostrò svogliato, dicendo che più non ne aveva bisogno. E per la fama che era sparsa quella casa esser divenuta una spelonca di spiriti, non ci era persona che comprare la volesse, né anco accettar in dono. A la fine mostrò il canonico per compassione volerla comprare, e l'ebbe per la metà meno di quello che buonamente valeva. Avvenne un di che, lamentandosi uno col canonico, che piativa e non poteva venir a capo de la lite, narrò la materia de la sua lite ad esso canonico. A cui egli disse: — Amico mio, tu non sai litigare. Io so fare i fatti miei senza tanti processi. — E non considerando ciò che potesse avvenire, li narrò il modo col quale aveva ottenuta la casa del suo vicino. Il fatto, non so come, fu sentito dal padrone che la casa per téma degli spiriti aveva venduta, e fu da lui ad un suo avvocato esposto; di modo che la lite fu dedutta al parlamento di Parigi. In somma, per non vi tener più in lungo, messer lo canonico, provato il suo delitto, fu preso e, senza aspettar tormenti, il tutto come era seguito confessò. Fu giudicato che la casa tornasse in poter del primo padrone senza che restituisse gli aùti danari, e che il povero canonico fosse incarcerato e restasse prigione perpetuamente, con digiunare tre volte ogni settimana in pane ed acqua senza altro cibo. E cosi la sua malvagità a misero fine miseramente lo condusse; ed appresso la malvagità, Tessersi gloriato d’aver fatta la beffa al vicino de la casa fu l'ultima sua rovina. Si deve ciascuno guardare di non commetter misfatto alcuno, e poi che l’ha commesso, non lo publicare: perché per l’ordinario il troppo cicalare suole spesso esser di nocumento; ma il tacere, ove è il bisogno, fu sempre lodevol cosa.