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III

Al magnifico

messer scipion serdini

suo osservandissimo


Niuna cosa è, la quale, da questa nostra bassezza sollevandoci e in altissimo grado alluogandoci, a Dio simili tanto ne renda quanto il giovar a ciascuno; il che è cosi ben conosciuto da tutti, che mestier non fa con molti argomenti ci sforziamo di dimostrarle Cosi pronti fussimo noi si chiare fiamme del divin fuoco a tener con le belle opere vive, più tosto che di spegnerle a procurare, a vii e dal mal avvezzo in noi desti appetiti soggiacendo. E si come questa in noi unica e sola virtù da ogni azion nostra, quasi dal sole i raggi, è di necessità che risplenda, cosi in ogni nostro affare sempre ampissimo campo d’essercitarla ci si para d’avanti; né adoperarci in alcuna cosa possiamo, ove non subito si dimostri se questa reai virtù in noi ha alcun luogo. Ma quando a questo naturai debito e divin movimento si aggiunga il poter con molta gloria nostra ed utilità, non pur poco giovamento ad alcuno recare, ma ad infiniti d’infinito bene esser cagione, chi negh mai che noi non pur a farlo tenuti non siamo, ma che biasi e pena meritiam noi facendo, come del commun bene inimici Ha veramente a pochi uomini Iddio dono tal conceduto, pere che solamente i gran prencipi e signori ciò possono fare, e oltra di loro i valorosi e savi uomini, il numero de’ quali è stato sem-i pre assai picciolo. Fra questi tali sono quegli che co’ loro scritti di cose degne di saper pieni, piacevolmente ragionando, savi ammaestramenti e ottimi consigli ci danno, e le cose che sono conoscere e bene adoperare ci insegnano. Il che in tante e si diverse maniere si fa, in quante tutto di veggiamo, e soverchia fatica saria raccontare. Perciò che si come il nostro intendimei or le passate, or le presenti, or le future cose abbracciando, se stesso ogni di rende vie più perfetto, cosi le medesime con parole agli ascoltanti e con le scritture agli assenti interpetran e ora quello che già è stato raccontando, talora nelle pres