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308 PARTE QUARTA intitolata. Essa novella ci empi tutti di stupore e meraviglia, veggendo pure essere vero ciò che communemente si suole dire da molti: che questo mondo è una piacevole gabbia piena di diversi pazzi, che quando il capriccio entra loro in capo e si lasciano dagli sfrenati appetiti vincere, fanno le maggiori e sgarbate sciocchezze che si possano imaginare. E questo per l’ordinario aviene, perché sono di modo accecati da le male regolate loro appetizioni, che non sanno pensare ciò che da le operazioni loro si possa di bene o di male causare. Ché quando pensassero al fine che ragionevolemente ne può seguire, io mi fo a credere che anderebbero più ritenutamente, e tanti errori non si farebbero tutto il giorno quanti veggiamo farsi. Ma tanto pare che di piacere ci doni lo adempire li nostri appetiti, che si benda gli occhi e ci fa strabocchevolemente senza ragione impaniarsi, come augelli presi con il vischio, che quanto più cercano di vendicarsi in libertà, più si trovano legati, e ogni fatica per svilupparsi è indarno da loro usata. E se di questi disordini non se ne vedessero molti tutto il di, io vi addurrei mille esempli de l'età vecchia e anco de la nova. Ma perché la cosa è chiara, come nel sereno cielo il sole da merigge, non accade citare testimoni innanzi a voi, cui questi disordini sono notissimi, ché certamente egli sarebbe, come si dice prover- bialemente, portare le civette a la città di Atene. Ma perché no- vamente in Lione è accaduto uno caso di questi sgarbati, e molto disonesto, avendolo io scritto e parendomi degno del publico, per esempio di chi vorrà leggerlo, l’ho voluto a voi donare e col vertuoso vostro nome in fronte publicare. E ben che il Rovereto fosse il primo che ce lo narrò, nondimeno poi da uno mio singolarissimo amico, che in Lione dimora, ho avuti li nomi e cognomi di coloro che in la istoria intra vengono Accettate adunque questo mio picciolo dono, e, come fate, amatemi. E state sano.