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NOVELLA XV (XVI) 213 mille altri incommodi che vi converrà patire. Però, signor mio, io vorrei che voi pensassi che ne lo stato ove séte, e in casa vostra, averete meglio il modo di poter fare molto migliori e più sante opere e vie più grate a Dio, che andarvi a perdere in uno eremitaggio. Voi in quelli 'luoghi solitari a nullo gio- varete se non a voi stesso, ove remanendo ne lo ducato vostro, con li vostri beni temporali che nostro signor Dio abonde- volmente con larga mano vi ha donati, potrete nodrire poveri assai, governare in pace li vostri popoli, difendere le vedove e pupilli, maritare assai povere giovanette che non hanno il modo di mettersi a l’onor del mondo, riparare i luoghi sacri, fondare altri monisteri per religiosi e donne, e molte altre opere di carità che meglio di me voi sapete. Questo voglio, signor mio, con ogni debita riverenza avervi detto per sodisfare in parte a l’obligo de la mia verso voi fedelissima servitù. — Qui tacque egli, e gli altri dui compagni furono pure del medesimo parere di Alberto. 11 duca, udito che ebbe il suo segretario, e vide gli altri dui essere de la openione, unitamente, di quello, in questa guisa loro rispose: — Figliuoli miei carissimi, a questo animo che verso me dimostrate, io conosco apertamente l’amore che mi portate non essere armato di vera carità ma tutto carnale, perché avete molto più riguardo a la sanità del mio corpo che a la salvazione de l’anima mia, la quale in- comparabilemente merita vie più di deversi procurare e apprezzare. Voi mi dite che sono vecchio, come in effetto sono; e perciò, per le follie commesse ne la mia giovanezza, voglio macerare questa mia fastidiosa vecchiezza e ammendare, quanto per me sarà possibile, le sconcie cose per me perpetrate, acciò che nostro signore Iddio in grado prenda la mia buona volontà e meco usi de la sua infinita misericordia. Si che, se per lo passato ho sempre avuti tutti gli agi e tutte le commodità che ho saputo desiderare, vuole la ragione che, in quanto per me si può, con la sofferenza de li disagi venga a sodisfare al peccato de le superflue e morbide delicatezze inutilmente passate con offesa del prossimo e di Dio. Devete poi sapere che, quanto più mancherò de la compagnia degli uomini e non udirò suoni