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NOVELLA V (Vi) ■33 che era certissimo di perderla. Vedeva poi, noi dicendo, che restava bandito del paese e luoghi ove ella se ne dimorava, senza speranza di mai più vederla. Astretto dunque da questi dui estremi, fu quasi per ¡svenire, e lo prese uno fiero sudore, freddo come ghiaccio. Il che veggendo il duca e che in viso tutto era cambiato, rassembrando più a una statua di marmo che a uomo vivo, intrò in openione che Carlo non amasse altra donna che la duchessa; onde assai disdegnosamente e con còlerà disse: — Carlo, Carlo, se tu avessi altra amica che mia moglie, tu non istaressi tanto a nominarla. Ma io penso che la tua ribalderia ti tormenta. — Punto Carlo da queste parole, anzi sino al vivo trafitto, amando egli vie più il duca che se stesso, determinò di dirli quella che amava, confidatosi ne la vertù e buona natura di esso duca e tenendo per fermo che egli mai non lo ridirebbe. Fatta questa deliberazione, disse: — Signore mio, l’obligo infinito che io conosco avervi per li grandi da voi ricevuti benefici, e l’amor che io vi porto, più che la téma di mille morti, poi che vi veggio cascato con falsa openione nel pestifero morbo de la gelosia, per levarvi ogni sospetto e chiarirvi de l’innocenzia mia, mi fanno fare cosa che, per quanti tormenti me potessero essere dati, io mai fatto non averei, supplicandovi, signor mio, che per l'onore di Dio vogliate promettermi e giurarmi, in fede di vero prencipe e fedele cristiano, che il segreto che ora vi dicelerò voi non lo rivelerete a persona del mondo in qual si sia modo già mai, ma sempre celato in petto lo terrete. — Giurò allora il duca con tutti quei sagramenti che a la mente gli occorsero, chiamando Dio e la corte celestiale per testimoni che quanto Carlo li direbbe, mai a persona, né in parole né per iscritto né per cenni o per quale modo si sia, egli manifesteria; e cosi su la croce degli elsi de la spada li giurò. Carlo, avuta questa promessa, assicurandosi sovra la fede data di cosi vertuoso prence come egli conosceva il duca, cominciò narrarli l’istoria del suo sino a quella ora segretissimo e felicissimo amore, in questo modo dicendo: — Sono, eccellentissimo signore mio, sette anni passati che io, veggendo l’incredibile, natia e leggiadra bellezza di '