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NOVELLA III (IV) IOI poco più di duo millia, tra li quali furono alcuni nobili de la città de Napoli, che di brigata in Africa navigarono e a la Goletta con prospera navigazione pervennero. Saranno forse alcuni di voi, signori, che volontieri intenderiano quali furono le cagioni e li consiglieri che mossero e indussero Amida a cacciar del regno il padre. Lasciando adunque l'appetito del regnare, vi dico che con lo scelerato Amida erano alcuni de li principali de la corte, li quali conoscevano che l’ingegno di quello era facile da essere governato e rivolto a ogni parte che si volesse. Tra questi era Maomete, figliuolo di quello Boamare, che sotto il regno di quello re che regnava innanzi Muleasse fu manifete. E perché avea presa per moglie Raamana, giovane di incomparabile bellezza e figliuola di Abderomene, castellano de la ròcca de la città, de la quale Muleasse si trovava fieramente innamorato, come esso Muleasse fu fatto re, lo fece prima castrare e poi miseramente morire. Per questa morte del padre Maomete di odio più che vatiniano odiava il re, e lungo tempo avea nodrito in petto l’immortale odio, aspettando l’occasione che con eterna roina di Muleasse il potesse mettere in esecuzione. Vi era uno altro Maomete, cognominato Adulze, moro nativo di Granata, che di fare schioppetti era artefice miracoloso. Questi altresi voleva uno grandissimo male a Muleasse, perciò che il re in luoco di grandissima ingiuria sempre il chiamava « schiavo nequissimo e più di ogni altro nequissimo ». Questi dui, pensando che fosse venuto il tempo di cacciare via il re cotanto da loro odiato, fecero una congiura con alcuni altri, e con false novelle sparsero tra loro che Muleasse a Napoli fosse morto, ma che prima che morisse avea rinegato la fede mao- metana e fattosi cristiano. Con questa fizzione fu Amida da li congiurati esortato a insignorirsi del regno e non perdere tempo, acciò che suo fratello, che era ostaggio a la Goletta in potere di Francesco Tovarre, luogotenente de l’imperadore e capitano de la Goletta, col favore degli spagnuoli non si facesse re. Chia- mavasi questo Maomete, e poteva essere di diciotto in diece- nove anni; e perché rassimigliava grandemente a l’avolo suo, non solamente a le fattezze del corpo ma anco quanto a l'ingegno