Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta. |
NOVELLA LIV 457 convito apparecchiato nel palazzo de la co min unità di Barcellona in una sala molto grande, essendo cosi la costuma del paese, che tutti i signori e grandi personaggi de la contrada, quando conducevano moglie, che il primo convito de le nozze facessero in quella sala e quivi di propria mano la moglie risposassero. Aveva il conte di Prata supplicato il re che degnasse con la presenza sua onorar le nozze; il che il re non solamente aveva detto di fare, ma anco s’era offerto d’andar fuor di Barcellona ad incontrar la sposa e quella, a la spagnuola, condurre di compagnia al palazzo. E desiderando onorar il suo vassallo, cosi come promesso l’aveva, l’attese; perché, quando tempo gli parve, montato a cavallo con tutta la corte, andò fuor di Barcellona, prima che la sposa trovasse, più di tre miglia. Ora, incontrata che l’ebbe, fatte le convenienti cerimonie, se la pose, ancor _che ella gli facesse grandissima resistenza, a la destra, e prese le redine de la chinea su la quale era la sposa e quella verso Barcellona cominciò a menare. E parlando seco e la beltà di lei minutamente considerando, si fieramente di quella s’innamorò, che in un subito s’accorse del suo fervente amore e conobbe le fiamme di quello esser penetrate cosi a dentro, che impossibile era di poterle in parte alcuna ammorzare. Non ebbe perciò mai ardire di farle pur un motto circa a questo, tuttavia pensando che mezzo tener devesse per divenir di quella possessore. E mille pensieri ne l’animo suo ravvolgendo ed ora ad uno ed ora a l’altro appigliandosi, né sapendo dove fermar il piede, a la città d’un’ora innanzi la cena arrivarono. Quivi essendo giunti, si cominciò a ballare a la catalana e star su le feste, fin che l’ora de la cena venisse. Il re fece il primo ballo con la sposa, tuttavia pensando ai suoi fieri disii, e tanto piacer sentiva con quella ballando, che averebbe voluto che quel ballo fosse tutto quel di durato. Fatto il primo ballo, il re si pose solo in un canto a sedere e quivi, senza parlare con nessuno, diceva tra sé: — Non sono io re di Ragona e padrone libero di tutto questo reame? chi adunque mi divieta che io di questa bella giovane non prenda tutto quel piacere, che la sua beltà e la mia giovinezza mi mette innanzi? chi presumerà di cosa, ch'io mi faccia, riprendermi? a qual