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NOVELLA LI 433 dote. A costei pose gli occhi a dosso il Tura e, piacendogli assai, deliberò, se era possibile, d’averla per moglie; il perché ai parenti di lei la fece richiedere. E quantunque il partito fosse disegualissimo, nondimeno il parentado si conchiuse, con questo che Tura facesse a la vedova di sovradote duo mila ducati. Il che egli fece di grado, e solennemente la sposò ed in Brescia la condusse, ove fece le nozze assai onorevoli. A la donna piaceva la roba, ma non il marito, perché ella era assai appariscente e Tura era bruttissimo ed attempato. Ella era poderosa e gagliarda, di pel rosso e tutta disposta a straccare dieci buon compagni, non che il Tura, che non era il più gagliardo uomo del mondo e molto da poco si mostrava nel fatto de le donne. Onde, veggendola festevole e baldanzosa e che in letto averebbe voluto far altro che dormire, parendogli a tutte Tore che qualunque persona passasse per la via gliela rubasse, entrò in tanta gelosia che non ardiva da lei già mai partirsi. Ma, che era il peggio, ella stava il più del tempo raffreddata, perché dal marito era mal coperta, di modo che faceva di grandissime vigilie; e ben che col Tura non si osasse rammaricare, tuttavia tra sé molto se ne trovava di mala voglia. Volentieri si sarebbe Caterina — ché cosi la donna aveva nome — gettata a la strada per guadagnar alcuna cosa; ma tanta era la solenne guardia che il marito le faceva, che non le permetteva che si potesse provedere. Egli già per sospetto aveva mutati tre famigli ed alcune rilassare licenziate; ma, non potendo senza famigli fare, andavane cercando uno a suo modo. Essendo adunque un giorno in porta, vide un giovine tedesco, che venuto era in Italia per cercarsi padrone, e quantunque fosse assai appariscente, era perciò il più sempliciotto che si fosse, senza una malizia al mondo. Come Tura lo vide cosi, s’avvisò costui esser uomo per quello che egli lo voleva; onde gli domandò donde veniva e che andava cercando. Guglielmo — cotale era il nome del tedesco — alora rispose: — Messere, io vengo da Verona, ove sono stato più d'un anno; ed essendomi morto il padrone, io ne vado cercando un altro per sostener la vita mia, perché mio padre ne la Magna era povero e non mi lasciò al suo morire M. Bandello, Novelle. 28