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NOVELLA XLIII poi gli diede di morso in quella faccenda che in mezzo le gambe gli pendeva, ed insieme con dui sonagli via di netto gliela strappò; di che il povero uomo tramortì. Corsero alcuni, avendo veduto il tratto che fatto aveva il cane, e mossi a pietà, andarono a sollevarlo; dai quali aiutato ed in sé rivenuto, disse chi era, pregandogli per l’amor di Dio che fosse menato fuor de la piazza. Don Battista, non sapendo ove s’andasse, fu da alcuni ritenuto, che gli domandavano chi egli fosse; il quale, facendosi conoscere, domandava mercé che non lo lasciassero in quel luogo. Maestro Abondio, veggendo il suo disegno riuscito d'aver fatto si chiaro scorno ai dui disonesti preti, cominciò a dire che ciascuno si tacesse. E salito suso una panca che quivi era, narrò al popolo di Como la istoria come era successa, di maniera che la simulata santità dei parrocchiani si conobbe esser sempre stata ipocrisia. Fu don Anseimo a casa sua portato, e stette molti di prima che egli fosse sanato, e guadagnò questo: che senza sospetto poteva aver pratica e parlar con le donne senza pericolo che più le ingravidasse. Don Battista medesimamente, con gran vituperio menato a casa, ebbe un’acerba punizione dal vescovo di Como, il quale lo condannò a pagar le botti e le polveri a messer Abondio e star molti di in una scura prigione. A don Anselmo, oltra quello che il cane l’avesse perfettamente castrato, diede anco la prigionia per alcuni di, e tutti dui gli sospese, che più non potessero far l’ufficio del parrocchiano.