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338 PARTE TERZA don Anseimo. Il marito mostrò di contentarsi e disse: — Poi che dimane si fanno i funerali del conte Eleutero Ruscone, che era cosi buon gentiluomo e tanto difensore del nostro popolo, io non voglio che dimane ne la mia tintoria si lavori. — Ed accostatosi a la botte ove era dentro il don Battista, quella di maniera acconciò che il prete si sarebbe indarno affaticato per uscirne. E cosi tutta la notte i santi preti stettero a far penitenza, ora sperando che la donna venisse a liberargli ed ora disperando, come in simili disaventure suol avvenire. Era anco la polvere del gualdo, come la verde, un pochetto mordente e massima- mente offendeva gli occhi, di maniera che anco don Battista, fregando gli occhi, fece tanto che gli divennero rossi come un gambaro cotto. Cominciarono a buon’ora tutte le chiese a sonar le loro campane per i funerali che devevano farsi; il che era ancora ai preti di grandissima noia, sentendo avvicinarsi il giorno. Furono fatte l’essequie, e trovandosi, come già v’ho detto, tutto il popolo di Como su la piazza, maestro Abondio deliberò di vergognare per una volta i dui parrocchiani e insegnarli a lasciar stare le mogli altrui. Onde in quell’ora, dai suoi famigli aiutato, condusse le botte, ove erano dentro i preti, su la piazza, quelle sempre rotolando, di modo che i poveri uomini tutti si dipinsero, l’uno di nero e l’altro di verde, che pareva un ramarro. Maestro Abondio aveva una scure in collo, che pareva che volesse andar a far de le legna al bosco. E perché era uomo molto piacevole e che spesso faceva de le burle, tutto il mondo se gli mise a torno. Egli cominciò a tagliare i legami dei cerchi, gridando tuttavia: — Guardatevi, comaschi, ché dui serpenti usciranno de le mie botte ! — Slegati che furono i cerchi, le botte andarono in un fascio e gli sciagurati preti che parevano dui diavoli, essendo da le polveri mascherati, non sapendo ove s’andassero, perciò che poco o nulla vedevano, si misero chi qua e chi in là. Il popolo, che non gli aveva potuti conoscere, cominciò a gridare: — Piglia, piglia! dalli, dàlli ! — Fuggendo i preti, un can corso del governatore, che si trovò su la piazza, s’avventò a dosso a don Anseimo e lo morse in una gamba, e lui gridante ad alta voce mercé tirò in terra e