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NOVELLA XXXIII 333 alta, cadde a l’indietro ri versone col capo avanti e percosse suso un selce, che in terra grossissimo era, e di modo fu grande la percossa che il capo tutto se gli aperse e il cerebro n’usci fuori. Onde il misero giovine incontinente mori. Il crudelissimo non padre ma nemico tuttavia con.la spada in mano gridando: — Ribaldo, tu non fuggirai oggi da le mie mani! — con molta fretta, pensando il figliuolo esser saltato giù, si pose a smontar le scale. Ma come egli vide il disgraziato suo figliuolo col capo tutto fracassato e lo sparso cerebro che ancora palpitava, fu da si veemente dolore sovrapreso, che subito l’ira s'ammorzò e la gelosia se ne fuggi via, entrandogli in petto la tenerezza de l'amor paterno, che gli occhi accecati gli allumò e gli fece vedere di quanta ferina sceleraggine egli era stato cagione. Onde, tardi pentito d’aver prestato Torecchie a la malvagia e scelera- tissima femina, da nuovo furore arrabbiato e d’estrema disperazione colmo, ruggendo come un fiero lione ed ad alta voce chiamando il nemico de l'umana natura, rivolse in sé la fulminea spada e, con quella passandosi per mezzo il core, sovra il morto ed ancora caldo figliuolo, miseramente esalando l’anima e nel suo e del figliuolo sangue ravvolgendosi, subito mori. La ribalda femina che al basso dietro al vecchio era scesa, veggendo si crudele ed inaudito spettacolo e da la propria scelerata conscienza stimolata, dubitando de la giustizia, come si può presumere, levatosi da cintola alcune chiavi che v’aveva, e quelle ad una donna di casa, che quivi amaramente piangeva, gettate, andò di fatto, e in uno profondissimo pozzo che nel cortile era, con il capo innanzi si gittò e là dentro si soffocò. Tal fine ebbe la malvagia e rea femina, degna di morte più crudele e d’essere da' cani a brano a brano lacerata. Il podestà poi, fatta del caso diligentissima inquisizione e severo essamine, trovando che la ribalda fantesca era complice del tutto, quella vituperosamente fece morire, facendola in quattro quarti, tagliatole prima la testa, squartare, le cui membra fuor di Monza a le forche appese, le quali chi quindi passa manifestamente ve