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NOVELLA XXXII 327 solamente gli ordini mendicanti, ma anco tutti i monaci. Tutti gli altri allegavano le loro approvate consuetudini, confermate da diversi sommi pontefici. Ma i carmeliti dicevano che per lo passato gli era stato fatto torto grandissimo, e che la semplice umiltà dei loro maggiori era stata di questo cagione, e che questo non deveva pregiudicare a le loro ragioni, essendo eglino i più antichi di quanti sono al mondo religiosi. Fu dedutta questa controversia al Conseglio secreto del duca, il quale, essendo giovine, volle esser presente ad udirla disputare. Un giorno adunque di festa nel castello di Milano fece congregare tutti i capi d’ogni sorte di religiosi, e volse che ne la sala verde la cosa si disputasse. Fu dato il carico a l’eccellente messer Gian Andrea Ca- gnuola, dottor di leggi, come tutti conoscete, dotto e giustissimo, a ciò che egli le parti domandasse e facesse produrre le ragioni loro. Onde al priore dei carmeliti rivolto, domandò lui quanto era che l’ordine suo aveva cominciato. Il carmelita rispose che nel monte Carmelo sotto Elia cominciò. — Dunque eravate voi — soggiunse il Cagnuola — nel tempo degli apostoli? — Ben sapete che si — disse il priore, — che noi soli eravamo frati in quel tempo, perciò che ancora non era stato Basilio, Benedetto, Domenico, Francesco, né altro capo di religiosi. — E che fede farete voi di questa antiquità cotanto antica — disse il Cagnuola, — se vi fosse negata? — Aveva il duca un buffone molto arguto e galante, il quale, sentendo questa chimera che il priore carmelita diceva, saltò in mezzo e disse al Cagnuola: — Domine doctor, il padre dice il vero che al tempo degli apostoli non ci erano altri frati che essi, dei quali san Paolo scrisse quando disse « Periculum in fa/sis fratribus ». Essi sono di quei falsi frati. — Ciascuno a l’arguto motto del buffone cominciò a ridere, e il duca, udita questa piacevole proposta, comandò che più non se ne parlasse e che si servassero le antiche consuetudini. Il che da tutti fu ammesso e i carmeliti se n’andarono dal popolo beffati. A ' IL BANDELLO a l'illustre e valoroso signore il signor ROBERTO S ANSEV ERI NO CONTE DI GAIAZZO salute Vedesi di continovo per lunga isperienza che ne la natura umana ogni età ha i suoi diporti e piaceri ove s’essercita, e ciò che a l’età infantile e fanciullesca sta bene a fare e diletta i riguardanti, sarebbe di biasimo ad un giovine che in quello si volesse essercitare. Medesimamente la giovinezza ha i suoi giuochi e passatempi, e il giovine può fare di molte cose, e non meriterà castigo né riprensione, che se un vecchio e attempato far le volesse, sarebbe meritevolmente da tutti beffato. Lo innamorarsi e far il galante con le donne pare che a' giovini convenga, in tanto che se si vede un giovine che viva senza amare, si dirà che egli non è uomo e che tiene del selvaggio e malinconico. Per Io contrario, quando l’uomo si truova in età matura, il voler fare l’innamorato troppo se gli disdice, e spesso è cagione che il misero vecchio impazzisca e divenga favola del volgo. Di rado anco avviene che qualche scandalo