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NOVELLA XXIX 3*3 messo in animo di far a Io scolare innamorato. I quali, come il fatto ebbero inteso, giudicarono che il buon messer Giovanni mai non era passato sotto l’arca di san Longino a Mantova, e pur assai de la sua melensaggine si risero insieme. Avevano costoro un servidore in casa che si chiamava Chiappino, che era un furbo dei più scaltriti del mondo, che averebbe fatto la salsa al diavolo, animoso, presuntuoso e tanto beffardo quanto si potesse imaginare cosa alcuna. A Chiappino adunque apersero i buon compagni ciò che fare intendevano. Egli, che senza paura averebbe dormito in una sepoltura, disse che era prontissimo a far il tutto che gli era ordinato. L'innamorato scolare come vedeva la sua donna, la quale né più né meno il guatava come se mai veduto non l'avesse, diceva tra sé:—State pur sul tirato, fate la crudele, rivolgete altrove il viso e nulla di me vi curate, ché io spero in breve tenervi ne le mie braccia tutta ignuda e mille volte ba- sciarvi e mordervi altre tante quella boccuccia vermiglia come un rubino. — E farneticava di queste cose da sé, parendo in effetto esser in fatto; ma lo sfortunato non sapeva la sua disaventura. Ora non mollo dopoi avvenne che un povero uomo si mori e fu sepellito in un certo cimitero molto solitario, e dove né di giorno né di notte andava persona. Come messer Simone lo seppe, lo fece intendere a messer Giovanni e volle che il di dopo vespro si ritirasse in una camera e dicesse più volte certe orazioni, anzi pure certe pappolate che tra loro scritte avevano, e quindi non si partisse fin che egli non lo domandasse. Da l’altra banda in quel cimitero che detto io v’ ho fecero far una buca non molto profonda, ove al tempo ordinato Chiappino si corcò con certi fuochi artificiati, come a mano a mano intenderete. Venute le quattro ore di notte, Chiappino andò per far quanto gli era stato commesso, e messer Simone con dui dei suoi compagni, prese zappe, badili ed un paio di tenaglie, andarono a levar fuori di camera l’innamorato scolare, e tutti di brigata se n’andarono verso il cimitero. Era la notte oscura come in bocca di lupo, di modo che a pena l’un l’altro, essendo appresso, si poteva scorgere. Faceva ne l’andare messer Giovanni le maggior bravate di parole del mondo e d’allegrezza non capeva ne