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292 PARTE TERZA crudeltà del duca appo grandi e piccioli cosi chiara che ciascuno lo temeva come il morbo; onde, come gli sbigottiti preti e chierici videro il loro parrocchiano esser preso, senza aspettar altro, gittata per terra la croce con l’aspersorio ed acqua santa, quanto le gambe ne li poterono portare andarono via, parendo loro tratto tratto che i beccamorti gli devessero prendere e sotterrargli insieme col morto. Lo sciagurato ed avaro parrocchiano, gridando tuttavia mercé, fu per comandamento del duca messo ne la fossa e coperto incontinente di terra. Il perché, essendo la buca molto alta e il peso de la terra che a dosso gli fu gettata assai greve, si può credere che il povero prete subito si soffocasse. Come il duca vide la fossa esser piena, comandò ad uno dei suoi che andasse a casa del prete e che quanto in casa si trovava da vivere e tutte le cose mobili che v’erano fossero date in dono a la povera vedova e suoi figliuoli. Il che fu integralmente essequito, con tanto terrore di tutta la chiesa di Milano, che per parecchi di non vi fu prete che due volte da’ popolani si facesse richiedere. Ed ancor che cosi fatto castigo fosse nel vero troppo barbaro e crudele, fu nondimeno cagione che molti preti comendarono la loro discorretta vita. Pertanto, come v’ho detto, saria talora buono usare degli straordinari rimedi. Io mi fo a credere che gli avi nostri, che in Milano hanno fondato le cento parrocchie che vi sono, oltra altre tante badie, chiese, monasteri di frati e monache che molti si veggiono in questa città, e gli hanno arricchiti di rendite e possessioni, l’abbiano fatto perché i frati, i preti ed altre persone religiose possano vivere ed officiare le chiese e ai poveri ministrare i sagramenti senza premio.