Pagina:Bandello - Novelle, Laterza 1911, IV.djvu/270

IL BANDELLO

il prode e gentil signore

il signor

vincenzo coscia

patrizio napoletano


Egli mi sovviene d'aver altre volte letto in certe opere latine del nostro divino poeta messer Francesco Petrarca, che gli uomini che tengono servidori non ponno fallire a far modestamente sferzare i paggi fin che sono piccioli e non passano quattordici o quindeci anni, quando fanciullescamente errano, perciò che le battiture sono cagione di fargli emendare e divenire di buoni, megliori. Onde disse il savio Salomone che chi non adopera la verga ha in odio il figliuolo. Ma i servidori, che non si vogliono battere se non una volta: subito, pagandogli il loro servizio, mandargli con Dio e mai piú non gli ripigliare. Con i mori poi o schiavi comprati si faccia il medesimo, perciò che sono di pessima natura. Il che esser vero ci dimostrò a questi di passati il moro di monsignor di Negri, abbate di San Simpliciano; il quale, avendo ricevuto un buffettone da esso abbate, la seguente notte gli segò le vene de la gola e l’ancise, ed era stato seco piú di trenta anni. E quando il perfido moro fu su il Broletto vecchio di Milano menato per farne publica giustizia, egli, ridendo, barbaramente diceva: — Squartatemi e fatemi peggio che sapete, ché se io ho avuto uno schiaffo, io me ne sono altamente vendicato. — Onde si può di leggero veder quanto periglioso sia ad impacciarsi con simil generazione. E di questa materia ragionandosi non è molto in casa de la signora Camilla Scarampa, e dicendosi che i genovesi l’intendono benissimo,