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NOVELLA XX 265 in camera acceso, gli dissero bravando: — Padrone, a noi pare che sia una gran vergogna la nostra e disonor vostro, che non abbiate servidore in casa a cui basti l’animo di voler vedere che cosa sia questa di tanti romori che ogni notte si fanno. Io credo che sia ben fatto che quattro o cinque di noi usciamo e veggiamo ciò che questi spiriti sanno fare. — Il maestro di casa, che era buon vecchio e gli pareva la prima volta non aver ben veduto, desiderava veder meglio che cosa questa fosse; onde essortò il padrone che si contentasse che egli con coloro uscisse. Ma Ferrando non la voleva intendere. Tuttavia tanto fecero e dissero che si contentò. Apersero adunque l’uscio e saltarono fuora con loro arme in mano. Ma a pena erano usciti che i mascherati, che troppo mai non s’allontanavano da quel luogo ma quivi d’intorno trescavano, gli vennero incontra urlando e facendo i più strani atti del mondo, di modo che quelli che s’erano mostrati si arditi ad uscire, fingendo morir di paura, corsero in camera e si lasciarono a posta cader su l’uscio, come gli era stato commesso. In questo le mascare, gettati suoi fuochi artificiali, mandarono la fiamma fin in camera e passarono via di lungo, tirando dopo loro per terra alcune catene di ferro, che facevano tanto romore che pareva che il mondo volesse finire. Furono per forza tirati dentro quei servidori e chiuso l’uscio, avendo già veduto quelli che in camera erano passar quelle mascare, che proprio parevano diavoli d’inferno. Ferrando, più morto che vivo, diceva sue orazioni con più segni di croce che non ha fiori primavera. Cessarono di far strepito gli spiriti mascherati e solamente s'udiva il canto di Gabbadio. Ma chi potria dire il piacere di Vittore e de la Filippa, i quali, per non aver paura, cacciavano più che potevano il diavolo in inferno e del pauroso Ferrando si ridevano? Ora questi romori andarono tanto innanzi che Ferrando, non si ricordando di mai essere stato cresimato ne la sua fanciullezza, si fece cresimare dal suffraganeo de l’arcivescovo e pigliò Vittore per suo padrino, con speranza di non sentir più romori. Ma il tutto fu indarno, non cessando le maschere di far l'ufficio loro. Il povero maestro di casa, che aveva voluto far il bravo ed uscir di camera del