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264 PARTE TERZA presente Vittore a tutte queste cerimonie; il quale la seguente notte, mascherato al solito, entrò nel palazzo e mandò dui dei suoi sovra il solaro de la camera ove Ferrando e la donna dormivano. Chi volesse contar il romore e lo schiamazzo che quella notte di sopra e di sotto si fece, averebbe troppo che fare. Ferrando poi che ebbe un poco sostenuto, vinto da la paura, co^se al letto de la moglie, la quale con le sue donne faceva vista di dormire; e quella, al suo parere, destata, si voleva disperare che ella non sentisse il battere che sopra il solaro si grande si faceva, che pareva che la casa tutta devesse abissare. La donna, facendo l'adirata, disse: — Marito mio, egli sarà necessario che tu stia in una camera la notte ed io in un’altra, e di giorno poi potremo stare insieme, ché io conosco chiaramente che ad essermi di questo modo rotto il sonno, che impazzirei o caderei in qualche grave infermità. — Perseverarono le maschere a fare le loro pazzie fin quasi al nascer de l’aurora. Il perché, venuto il giorno, vi fu da dire assai, non essendo stato uomo in quella famiglia a cui fusse bastato l'animo d'uscir di camera, perciò che di modo tutti erano impauriti che nessuno ardiva di scuotersi. Ed assai il di se ne ragionò. Ferrando fece porre il suo letto in una camera in capo d'una loggia e volle che circa sette dei suoi in quella camera dormissero. II perché conoscendo la donna il suo avviso riuscirle e di già avendo del tutto avvisato l'amante, quella notte egli galante- mente vestito andò a trovarla e menò seco le sue mascare, le quali altro romore non fecero vicino a la camera de la donna, che con Vittore rifaceva i danni passati, se non che Gabbadio tutta la notte contrafece ora il rosignolo, ora la calandra, ora il lugarino, ora il fanello ed ora qualche altro augello di quelli che cantano più melodiosamente. Ma gli altri compagni facevano ne l’altre parti il maggior strepito che fosse possibile, e massimamente vicino a la camera di Ferrando. Dormivano dentro la camera del padrone quei servidori che Filippa aveva corrotti, i quali al cominciamento del romore, veggendo che il loro padrone s’era levato e messosi in ginocchione a dir sue orazioni innanzi ad un crocifisso, avendo sempre il lume