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192 PARTE TERZA un vii coniglio fuggito via. Era quivi messer Giacomo da San Secondo, il quale con sonare e cantare, essendo musico eccellentissimo, ci teneva spesso allegri. Egli, veggendo il contegno del Polito, narrò una novelletta a proposito di questi che tutto lo studio loro mettono in polirsi. Voi alora mi diceste che tal novella sarebbe buona da metter con l’altre mie. Il perché, avendola io scritta, ho voluto che sia vostra e che vada a torno, se mai uscirà di casa, col nome vostro in fronte; il che sarà appo quelli che dopo noi verranno evidentissimo segno de la mia osservanza verso voi. State sano. NOVELLA XI Dui giovi ni vestiti di bianco sono con una burla da un altro giovine beffati. L'aver veduto questo vostro servidore che in parole cosi brusco ed acerbo si mostra e che non può patire di vedere sui suoi panni una minima festuca, m’ha fatto sovvenire una novella che non è ancor molto in una città di Lombardia avvenne. E poi che mi pregate ch’io ve la dica, io molto volentieri vi ubidirò. Erano dui giovini assai di buon sangue, i quali tenevano del simpliciotto anzi che no, perché il prete dando loro il battesimo pose pochissimo sale in bocca a l’uno e a l’altro. E per essere, come si costuma dire a Milano, parrocchiani de la parrocchia di San Simpliciano, avevano contratto per la somiglianza de le nature una gran familiarità insieme, e sempre di brigata andavano e vestivano per l’ordinario d'una medesima foggia. Se poi si trovavano con altri giovini, dicevano le maggior pappolate del mondo, e non potevano sofferire che altri che essi parlasse, e spesso senza rispetto veruno rompevano i ragionari degli altri. E trovandosi aver cattivi vicini, tutti i ragionamenti che facevano erano per la più parte in lodarsi e commendar tutte le cose proprie, di modo che fastidivano qualunque persona che gli ascoltasse e mal volentieri erano ricevuti in compagnia. Ora avvenne che essendo di state essi si vestirono di zendado bianco, cioè il giuppone e il robone; le