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NOVELLA V 163 sovra la casa tirannica un’aquila, in alto volando, a poco a poco discendere a basso ed un grandissimo sasso, come se a posta fatto l’avesse, avere lasciato cadere sul tetto de la già detta camera, e con gran strepito e clangore levarsi in alto e nascondersi agli occhi di coloro che stavano mirandola. Dal romore e vociferazione di quelli, che l’aquila vista avevano, eccitato e spaventato, Aristotimo, avendo inteso ciò che occorso era, mandò a chiamar il suo indovino a ciò gli dichiarasse ciò che cotale augurio significava, essendo egli ne l’animo turbato pur assai. L’indovino gli disse che stesse di buon animo, perché portendeva esso augurio lui esser amato da Giove, che in ogni cosa gli saria favorevole. Ma il profeta ai cittadini che aveva ¡sperimentati buoni e fedeli manifestò al capo del tiranno sovrastare il maggior periglio che avesse patito già mai. Quegli adunque che con Ellanico avevano fatta la congiura dissero non esser più da tardare e deliberarono d’ammazzar il tiranno il di seguente. La notte poi ad Ellanico mentre dormiva parve veder il figliuolo che gli diceva: — Che stai dormendo, padre? Io sono uno dei tuoi figliuoli che Aristotimo ha ucciso. Non sai che il di che viene tu hai da esser capitano e duce de la patria? — Da questa visione confermato, Ellanico levò ne l'aurora ed essortò i consci de la congiura ad essequir quel di ¡stesso quanto di già a beneficio de la patria avevano ordinato. Ora Aristotimo ebbe la certezza come Cra- tero, tiranno d’una altra città, con grosso essercito veniva in suo favore contra i fuorusciti eliensi e che già era arrivato in Olimpia, città tra il monte Ossa e il monte Olimpo. Pieno adunque di speranza e di fiducia, prese tanto d’ardire, pensando già avere rotti e presi gli esuli, che s'assicurò senza i custodi del corpo suo, con Cilone ed uno o dui altri dei suoi, in quell’ora che i congiurati già erano in piazza congregati, quivi venire. Ellanico, veggendo cosi bell’occasione di liberar con la morte del perfido tiranno la cara patria, non attese altrimenti a dar il segno ai compagni che determinato s'era; ma l'ardito vegliardo, levate le mani e gli occhi al cielo, con chiara e sonora voce, ai compagni vólto, disse: — Che tardate, o cittadini miei, negli occhi de la vostra città a dar fine a cosi bello