Pagina:Bandello - Novelle, Laterza 1911, IV.djvu/147

144 PARTE TERZA cupidigia del guadagno, perché chi di giocar troppo si diletta è naturalmente avarissimo. Ed ancora che l’uomo giocatore sia consueto il più de le volte a perdere, nondimeno tanto può la vana speranza di vincere che egli tuttavia ritorna a giocare, sperando racquistar ciò che perduto aveva. Sovvienimi che essendo io in Mantova a ragionamento con il signor Giovanni di Gonzaga, ed essendogli detto che il signor Alessandro suo figliuolo s’aveva giocato e perduto cinquecento ducati, che subito egli mi disse: — E’ non mi duole punto, Bandello mio, dei danari da mio figliuolo perduti, ma duoimi che per volergli ad ogni modo ricuperare egli ne perderà degli altri pur assai. — Ne segue anco un altro non minor male: quando il giocatore ha perduto quattro e sei volte i danari che ha e che il patrimonio più non basta a mantenerlo sul giuoco, il misero che senza il giuoco non sa né vuol vivere, non avendo da sé il modo, affronta parenti ed amici e prende in presto quella somma di danari che può maggiore. Ma perdendo e non avendo maniera di ristituire a chi deve e tuttavia volendo pur stare sul giuoco, fa di quegli enormi misfatti che, oltra che lo rendono infame e odioso a tutti, a la fine lo conducono a vituperosissima morte. Onde saggiamente cantò il nostro mantovano Omero, quando nel terzo de la divina sua Eneide disse: A che non sforzi i petti dei mortali, essecrabile o fame d’aver oro? Di questo ragionandosi a Pinaruolo in una buona compagnia per una questione seguita tra dui giocatori soldati, il capitano Ghisi da Vinezia, uomo prode de la persona, dopo molte cose dette secondo il vario parere di chi ragionava, narrò un fiero accidente poco avanti a Vinezia avvenuto, il quale tutti riempi di meraviglia e stupore. Io alora, che presente ci era, lo scrissi, parendomi poter esser detto caso giovevole a molti per levargli dal giuoco. Ora che io faccio la scelta de le mie novelle per darle fuori, venutami questa a le mani, subito deliberai che sotto il vostro nome si leggesse, si per l’antica domestichezza che ebbi già in Milano con la buona memoria di monsignor