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NOVEI.1.A XLV1 ri NOVELLA XLVI Alto memorabile di Massimigliano Cesare che usò verso uu povero contadino ne la Magna esscndo'a la caccia. Cose assai oggi, amabilissime donne e voi coitesi giovini, dette si sono, tutte nel vero piacevoli e belle e da le quali si può prender essempio al nostro vivere, facendo de le altrui azioni profitto a noi stessi. Ma poi che volete che anco io ragioni ed alcuna cosa od utile o dilettevole vi dica, venendo io d’Alamagna per passar in Ispagna, imiterò i mercadanti che tornando di Soria recano de le cose di quel paese. Discoprirò adunque de le robe germaniche, dicendovi che assai sovente l’uomo, per non esser conosciuto e talora mal vestito, incappa in perigliosi accidenti e spesso in cose ridicole, come avvenne a Filopemone megalipolitano, duce degli achei e ne l’arte militare eccellentissimo. Deveva egli andare a Megara a cena a casa d’un suo amico, ed ancora che gente assai solesse seco condurre, pur quella volta tutto solo entrò in Megara e andò a l’albergo de l’amico, ove l’apparecchio grande si faceva. Il padrone non era in casa e la moglie di quello attendeva a preparar il convito. Ella che non conosceva Filopemone, come lo vide, pensò che fosse uno dei servidori del duce e gli disse: — Tu sia il ben venuto. To’ questa scure e spezza cotesti ceppi. — Filopemone senza dir altro, cavatasi la cappa, cominciò a lavorare. Venne in questo il padrone de la casa, il quale, come vide il duce spezzar legna, tutto pieno d’ammirazione disse: — O Filopemone, che cosa fai? — A cui egli lietamente rispose: — E che altro pensi tu che sia, se non che io porto la pena de la disformità del mio vile vestire? — Quasi a simil modo fu trattato Massimigliano Cesare. Egli, come si sa, meravigliosamente de la caccia si dilettava, essercizio da Zenofonte molto lodato. Ebbe egli ope- nione che i soldati greci per la assiduità de le venazioni divenissero prodi de la persona. Plinio nipote commenda senza fine Traiano perché ne la caccia si essercitava. Essendo adunque