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122 I'AKTE TERZA letta da chi si sia, possa sicuramente ne le mani di ciascuno stare. Io credo bene che saranno di quelli che diranno che non vogliono credere che la cosa fosse vera. A questi tali io dico che questo non è articolo di fede e che ciascuno può di questo credere ciò che vuole: ben affermo loro che mio cugino m’affermava d’averla per verissima intesa. Ma sia come si voglia. Voi, signora mia, cred'io che crederete la cosa esser stata vera, sapendo esser qui in Milano occorsi dei casi non minori di questo, i quali se fosse lecito scrivere, questo non saria tanto mirabile stimato. E nel vero quando una cosa può essere, io non ¡starei mai a questionare ch’ella non fosse stata; onde i filosofi hanno una regola: che ogni volta che sia proposto un caso possibile, che quello si deve accettare. Ma vegnamo a la novella, a la quale vi piacerà dar luogo insieme con gli altri vostri più cari scritti, e tenermi ne la vostra buona grazia. Cosi nostro signor Iddio vi doni il compimento d'ogni vostro desio. State sana. NOVELLA I Pandolfo del Nero è sepellito vivo con la sua innamorala ed esce per nuovo accidente di periglio. Non è ancora guari di tempo passato che io, andando a Loreto a compire un mio voto, pervenni ne la città d’Arimini, ove essendo dal sommo pontefice stato messo governatore il molto vertuoso e gentil dottor di leggi, ne le lettere umane latine e greche uomo di grandissimo giudizio, messer Antonio Cappo gentiluomo mantovano, fu necessario che ad albergar seco me n’andassi. Egli mi tenne dui giorni e volle che io per l’antica nostra amicizia gli promettessi nel ritorno di starmi seco quattro o sei di. Quivi adunque essendo, intesi un’altra novella che poco innanzi dicevano esser accaduta, la quale per la sua novità e per il periglio grande che vi intervenne, mi parve degna d’esser puntalmente ne la memoria tenuta. Ed anche ch'io sappia i veri nomi, nondimeno per convenienti rispetti m’èpiac- ciuto, tacendo i propri, di finti prevalermi. Io ora in questa