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88 PARTE SECONDA umilmente ti supplico che essendo tu, come è la fama, liberale a ciascuno de le tue facultà, che a me non vogli esser scarso di parole, ché ottenendo per mezzo tuo la sentenza per me, come spero e vuole la giustizia, io ti resterò eternamente ubli- gatissimo de la roba, de la vita e de l’onore, oltre che in parte farò tal cosa che conoscerai non aver speso le tue parole per uomo ingrato. Basta che col mezzo tuo mi sia fatta giustizia quanto più tosto si può. — E qui il Tomacello si tacque. Alora il marchese con lieto viso in questa forma al Tomacello disse: — Io sarei contento, signor mio, che il favore che tu mi chiedi non ti bisognasse, non perché io sia per negarti in questa tua lite tutto quello che per me si potrà, ché il tutto farò io di core, ma perché vorrei che le cose tue fossero in quello assetto che tu desideri. Io ti ringrazio ed ubligato ti sono del bene che di me dici, ed ancor che in me non sia quello che di me si predica, mi piace perciò esser tenuto tale, e quanto per me si può mi sforzo che Topere mie a la fama corrispondano. Tutto quello che io potrò far a tuo profitto, vivi sicuro che io lo farò con quella prontezza e diligenza che usarei ne le cose mie proprie. Se seguirà buon effetto, mi sarà tanto caro quanto a te proprio. Se anco, che Dio noi voglia, il contrario succedesse, non sarà che io non abbia fatto il debito mio. Ma avendo tu ragione come mi affermi, io spero che dimane prima che il sole s'attuffi sentirai qualche buona novella, perciò che, innanzi che ceni, io a la cosa tua darò tal principio che il fine non sarà se non buono. A le proferte che in ultimo fatte m’ hai, se sono di restarmi amico e fratello, io te ne ringrazio e mi parrà oggi aver fatto un grandissimo acquisto. Ma come mostri con le parole che tu accenni, se pensassi donarmi cosa alcuna, dico che se io fossi mercadante o per premio servissi, che forse l’accettarei. Ma essendo Giovanni Ventimiglia, la mia professione è da gentiluomo e da cavaliero e non da mercadante. Il perché averei io cagione di rammaricarmi di te, che a la mia cortesia cerchi far questo incarco. Questo non è quello che poco dianzi mi dicevi che di me si predica. Io nacqui di cavaliero e di signore il cui valor e fama ancor in Sicilia risuonano, e dal mio magnanimo re fui cavaliero e marchese fatto,