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NOVELLA XXII Si andato per questi luoghi fuggendo la compagnia. E non sono, credo, cinque giorni che essendo il conte di Celano ed io là su quel poggetto, ti vedemmo tutto solo qui a questa fontana starti piangendo, e più d'un'ora stemmo a mirarti, che tu sempre lagrimando e spesso levando gli occhi al cielo dimorasti. — Ecco — mi disse il conte di Celano — a che termine è condotto il marchese di Cotrone per la signora Lionora Macedonia moglie del signor Giovanni Tomacello. Egli l’ama e séguila già sono molti di, ma ella che è sdegnosa com’un can bottolo, di lui né di cosa che si faccia punto non si cura, che, per l’anima di pàtremo, m’è venuto più volte voglia di sgridarlo e fargliene un gran romore. Ma perciò che io non ho seco molta domestichezza rimasto mi sono, e nondimeno io l'amo come mio fratello, sapendo quanto è onorato e gentil cavaliero. A te, signor Galeazzo, starà bene, che sei suo domestico, a levarlo fuora di questo Iaberinto. — Io gli promisi di farlo con la prima comodità che mi occorresse, ancor che mi sia molte altre fiate deliberato di farlo. Ma ora egli sarà assai per tempo, se avviene che le mie parole fruttino a te la tua libertà. Egli sono già alquanti anni che tu ami costei, e se pensassi che il tuo amore fosse segreto, tu largamente t’ingannereste, perciò che non è favola in Napoli più nota di questo tuo amore, e ciascuno ne parla e infinitamente si meraviglia che tu ti perda dietro a costei, essendo la più sdegnosa e superba femina che si truovi. E tu pur si fitto in lei ti sei che ad altro l’animo rivolger non puoi. Le spese che tu per lei fatte hai lascio andare, perciò che questo è il minor male che ci sia, ché essendo, come sei, in Sicilia e qui nel Regno ricchissimo, per aver fatte le fogge che fatte hai e comparso sempre su le feste e su le giostre pomposamente, hai il tuo e mio signore onorato e acquistato nome d’esser il più liberal e splendido barone che sia in corte, il che non poco caro esser ti deve. Del tempo poi perduto dietro a costei, d’aver mill'altre vie utili ed oneste lasciate da parte, d'esser di te stesso quasi ogni di micidiale e andar d’ora in ora di mal in peggio, questo ben ti deveria calere e di questo per amor tuo a me ne vien di continovo dolor infinito, e tanto più quanto io sento dirsi M. Banobllo, Novelle.