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NOVELLA XXI 71 animosamente perseguitati. Né mai permetterò che essi od altri regi tengano l’imperio di Roma. — Dopoi, a Lucrezio e Colla- tino che gridando piangevano ed altresi a Valerio, che di quanto diceva Bruto si meravigliavano, il sanguigno coltello diede in mano, e tutti tre del modo che egli aveva giurato fece giurare. Indi, lasciate le lagrime, a la vendetta s’apparecchiarono. Fatto poi levar il corpo, quello ne la publica piazza cosi sanguinolente fecero porre. Quivi Bruto, con accomodate parole, di maniera accese il popolo di Collazia che tutti contra i Tarquini in vendetta di Lucrezia presero l’arme; onde poste a le porte le guardie a ciò che nessuno al re, che intorno Ardea con i figliuoli era, la cosa dicesse, verso Roma se n’andarono tutti di brigata, ove non meno più tumulto Bruto concitò che a Collazia concitato avesse. Ivi ottenne che il popolo levò il reame a Tarquinio; indi con armata mano verso Ardea s’inviò, lasciato in Roma Lucrezio a governarla. E intendendo che il re verso Roma veniva, egli per altra via a l’oste d’Ardea pervenne, di modo che in un’ora Bruto ad Ardea e Tarquinio a Roma arrivarono. A Tarquinio fur chiuse le porte, essendo già di poco innanzi la scelerata Tullia sua moglie con grandissimo vituperio da Roma fuggita. Bruto come Iiberator de la patria lietamente fu ne l’oste ricevuto, e subito i figliuoli del re dal campo cacciati. Il re con i dui figliuoli maggiori se ne fuggi in Toscana, e diverse vie tentando di ricuperar Roma, uno dei figliuoli, che Aronte aveva nome, vide in battaglia esser morto. Sesto, che l’adulterio aveva commesso, ne la città dei gabini si ridusse, avendosi scordato le gravi offese a’ gabini fatte: quivi dai nemici suoi crudelmente fu ammazzato. Il re con l’altro figliuolo, dopo l’aver indarno tentato di racquistar il perduto per le sue sceleraggini e dei figliuoli reame, a Cume, città non molto lungi da Napoli, in essiglio si ridusse e quivi miseramente mori. E cosi fu la morte e l’adulterio de la castissima Lucrezia vendicato, il cui virile e generoso animo penso io che tanto lodar non si possa quanto merit