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IL BANDELLO

al molto magnifico e vertuoso messer

ífilippo baldo

nobile milanese

salute


Verissimo pure esser ogni di si vede il proverbio che communemente dir si suole: che «gli uomini talora si riscontrano, ma le montagne non giá mai». Deverebbe questo ammonire quelli che portano il cervello sopra la berretta e non si curano far le sconcie cose ed offender assai sovente il compagno, dicendo: — Me ne vado ed egli se ne va, né piú ci rivederemo. — Erronea certamente e mal regolata openione, come la sperienza ne fa ferma fede, perciò che molte volte ciò che non accade in uno e dui anni, avviene in un punto impetuosamente. E questo ci occorre cosí ne le nostre vertuose operazioni come ne le male. Chi imaginato si averebbe giá mai, Baldo mio soavissimo, che voi ed io dopo tanti anni in Acquitania, nel contado d’Agen, su la riva di Garonna, ad un medesimo tempo trovati ci fussimo? Ponno esser circa ventidui anni, e forse piú che meno, che di compagnia a Ferrara ci trovammo a le nozze del signor Gian Paolo Sforza, fratello di Francesco secondo Sforza duca di Milano, e de la signora Violante Bentivoglia sua consorte, ed alcuni di in grandissimo piacere di brigata dimorammo. Egli vi deve sovvenire quanti bei giochi si fecero e quanto allegramente tutti quei giorni in festa trascorremmo. Finite le nozze, chi andò in qua, chi andò in lá, come spesso suol avvenire. Voi non molto dopo, facendo penitenzia de l’altrui colpa, per l’Italia, l’Alemagna, la Spagna e per l’Affrica, conquassato da’ contrari venti d’impetuosa fortuna, finora séte ito errando, e di nuovo la terza volta M. Bandkllo, Novelle.