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NOVELLA XLI 425 ¡svenne che restò quasi morta. E non ci essendo persona che le porgesse aita, gli smarriti spiriti a lor posta vagando quasi riel tutto l’abbandonarono. Venuta l’ora del levare, andò la balia a la camera per far che Elena. s’abbigliasse, e credendo trovar la porta aperta, la ritrovò chiavata. Onde picchiando più e più volte e forte battendo, né v’essendo chi rispondesse, inesser Pietro, questo sentendo, a la camera venne. Ora dopo il lungo battere, fu per forza l’uscio sospinto a terra. Entrato il padre con altri in camera e fatte aprire le finestre, tutti videro la povera Elena vestita sovra il suo letto starsi come morta. II romore si levò grandissimo, e il misero padre miseramente piangendo mandava le dolenti strida fin al cielo. La balia, gridando ed ululando come forsennata, a dosso se le gittò. Non era persona in casa che acerbamente non piangesse. Fu mandato per medici, per il nuovo sposo e parenti. Assai cose furono fatte e rimedi infiniti adoperati per far che Elena rivenisse, ma il tutto indarno si fece. La balia fu essaminata diligentemente, la quale disse che la notte Elena assai travagliato aveva e dimenatasi come se di gravissima febre fosse stata inferma, e che quando essa usci di camera la figliuola vegghiava. Ma nel secreto ella per fermo teneva che da infinito dolore soffocata fosse morta, ed acerbissimamente piangendo non si poteva dar pace. Lo sconsolato padre lagrimava dirottamente e cose diceva che averebbero mossi a pietà i sassi non che gli uomini. Ora dopo mille rimedi usati, veggendo che nulla a la giovane giovava, giudicarono i medici che da un sottil catarro distillato dal capo al core fosse la giovane de la goccia pericolata. Tenuta adunque da tutti per morta, si pose ordine che quella sera fosse onorevolmente da sua pari portata a la sepoltura a Castello in Patriarcato e posta in un avello di marmo degli avoli suoi che era fuor de la chiesa. Cosi la sfortunata giovane con generai pianto di chiunque la conobbe fu seppellita. Ora vedete come i casi fortunevoli talora avvengano, e considerate che mai non si può aver una compiuta allegrezza che tra quella alcuna tristezza non si mescoli, e sempre non sia con il dolce mele tanto de l'amaro assenzio distemperato che la dolcezza del piacere non