Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta. |
NOVELLA XL1 413 che voleva alquanto dormire. 11 che non pure ad Elena piacque, per aver più largo campo di starsi a le finestre, ma amorevolmente a riposar l’essortò. Come ella vide la balia essersi ritirata in una camera, se n’andò tantosto in un’altra a cominciar il desiato suo amoroso gioco, al quale- ebbe assai favorevole la fortuna, perciò che a pena s’era ella a la finestra posta, che Gerardo, che punto non dormiva ma era al fatto suo vigilantissimo, cominciò per il canaletto lasciarsi vedere. La sagace balia essendosi anco ella messa ad una finestra, come vide comparire in gondola il giovine, drizzò gli occhi a la finestra ove Elena era; la quale, veduto l'amante, tutta s’allegrò e con certi atti fanciulleschi pareva quasi che con lui de la recuperata sanità si volesse rallegrare. Aveva ella in mano un mazzetto di fiori e quello, nel passarle di sotto la gondola, con lieto viso al giovine gittò. Parve a la balia, veduto questo atto, d’esser chiara che l’innamorata di Gerardo senza dubio fosse Elena; il perché conoscendo il parentado tra lor dui potersi molto onoratamente fare, quando fossero d'animo di maritarsi, subito entrò in la camera d'Elena, che ancora se ne stava a la finestra vagheggiando il suo amante, e le disse: — Dimmi, figliuola, che cosa è quella che 10 t'iio veduta fare? che hai tu da partire con il giovine che ora è passato per il canale? O bella ed onesta figliuola, a star tutto 11 di a le finestre e gittar mazzi di fiori a chi va e chi viene! Misera te, se tuo padre lo risapesse già mai! io ti so dire che ti conciarebbe di maniera che avereste invidia a’ morti. — La giovane per questa agra riprensione quasi fuor di se stessa, non sapeva né ardiva di far motto; tuttavia veggendo in viso la balia, ancor che agramente garrita l’avesse, non esser perciò molto adirata, buttatele le braccia al collo e quella fanciullescamente basciata, con parole soavissime cosi le disse: — Nena — ché cosi i veneziani chiamano le nutrici, — madre mia dolcissima, io vi chiedo umilmente perdono se nel gioco che ora veduto m'avete giocare, io abbi fatto, che noi credo, errore. Ma se desiderate che io allegra me ne viva, vi piaccia un poco udir la mia ragione e di poi, se vi parrà che io giocando abbia fallito, datemene quel castigo che più vi pare convenevole. Sapete che messer mio