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370 PARTE SECONDA Vedila e leggila. — E cosi Giulio essa lettera a Delio porse, clic la prese e subito lesse. Come Delio l’ebbe letta, cosi Giulio il suo parlar ripigliò e disse: — A Camillo, come tu puoi considerare, è uno strano grillo entrato ne la testa, né so con qual fondamento, che io sia fuor d’ogni convenevolezza e debito divenuto possessor di Cinzia, la quale sallo Dio che io sempre ho amata come propria e cara sorella. E prego di core Iddio che di me faccia ogni strazio, se mai io ebbi pensiero di venir ad atto nessuno meno che onesto con lei. Ora per il tenor de la lettera sua che letta hai, io mi fo a credere che d’altro che di me non può dire, perciò che altri che io non ci è che pratichi in quella casa, che sia di quel nodo d'amicizia unito seco come sono sempre stato io. Vorrei mò che tu mi porgessi aita e mi consegliassi come debbia in questo caso governarmi, perché, essendo in effetto innocente, non vorrei per tutto l’oro del mondo che Camillo restasse con simil scropolo e mala openione di me, che prima desiderarci di morire che commetter una tal follia contra un mio cosi caro amico. Io non so già qual maggior ingiuria di questa se gli possa fare. E per dir una parola che m’avanza, io se pur devessi esser infamato e che la mia innocenzia appo il publico non si potesse giustificare, penserei esser minor male aver almeno gustato quel poco piacere che restar con infamia senza cagione. Tuttavia per parlar sul saldo, quando uno non ha errato e sente che altri a torto il biasima, poco si cura dei suoi detrattori quando si conosce esser senza colpa. Ma tornando al caso mio, io non sarò contento già mai mentre penserò che Camillo abbia quest’ombra di me. Egli e tu sapete pure ove i miei pensieri sono collocati e se io lealmente amo, persuadendomi esser amato. E veramente fin che morte chiuda quest’occhi, io persevererò ne la mia fedel servitù, e con quella sincerità la serberò che desidero esser a me mantenuta, pensando ch’io deverei chiamarmi il più disonorato gentiluomo del mondo, se per qualunque donna che si truovi, io, lasciata la mia padrona, con altra mi mettessi, ché nel vero confessarci meritar ogni accerbissimo castigo. Penserà adunque Camillo che io a lui dopoi facessi questo torto? Tolga Iddio da