modo che i popolari l'amavano e riverivano e i nobili l'osservavano e tulli l’avevano in osservazione. Tacerò il credilo e
riputazione che appo i paesani de la riviera di Levante e ne
le montagne verso il Parmigiano e Piacentino aveva. Tacerò che
dai sudditi suoi, ai quali di giustizia in un minimo punto mai
non mancava e nei bisogni loro soccorreva, come un Dio era
adorato e, da chi seco ne le giurisdizioni confinava, avuto in
grandissimo rispetto. Tacerò che i fratelli suoi amava come
se stesso e voleva che a par di lui e vie più fossero onorati.
Tacerò come agli amici si mostrava benevolo, domestico, facile
ed aiutore, e come acerbamente l’ingiurie vendicava. Era egli
in questo da Cesare perpetuo dittatore molto dissimile, il quale
nessuna cosa soleva obliarsi già mai se non le ricevute offese.
E perché circa questo l’istoria che io intendo narrare vi dimostrerà quale egli si fosse, io tacerò assai altre sue parti e
passerò a dirvi de l’impresa che egli ultima in vita sua ha
fatto. Né io per ora voglio disputar se sia bene o male occupar
la libertà de la patria, non mi volendo opporre a chi biasima
chi l'occupa, né a Giulio Cesare che occupando la república
partorì il romano imperio, e spesse fiate allegava il verso d'Euripide, che se la ragione deve esser violata, si deve violare per
cagione d'acquistarsi un dominio. Ci sono perciò che dicono
lui non aver occupata la patria, ma esser stato fatto da le leggi
e dal popolo dittatore perpetuo, e che non levò i giudizi né
sparse il sangue civile, anzi a molti suoi nemici perdonò. Ma
tornando al conte Gian Aloise, dico che se si considera l’impresa
che egli ha fatto ed in che tempo, che non si può giudicare se
non che fosse giovine di grandissimo coraggio e che deve esser
lodato, perché ne le cose grandi aver voluto por mano è bene
assai. Egli s’era messo a far questa impresa, essendo Carlo
imperadore armato e nel corso de le sue vittorie in Alemagna
e signore quasi di tutta Italia, levatone quell’angulo che i veneziani possedono. Egli ha i reami di Napoli e Sicilia e il ducato
di Milano in suo potere. Mantova gli guarda in viso e ad ogni
suo cenno ubidisce. Ferrara che può far altro che essergli aiu-
trice? E tanto più gli sarà, quanto che si dice che ha esso