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IL BANDELLO

al magnifico

messer francesco ravaschiero


Come volgarmente si dice tutti i salmi finirsi in gloria, cosi anco si può dire quasi tutti i parlari che tra persone gentili si fanno, al fine risolversi in ragionar d’amore, come del dolce condimento e soave sollevazion di tutte le malinconie. E chi è colui che in si noiosi pensieri immerso si trovi o sia dai soffiamenti di contraria fortuna crollato e conquassato, che sentendo dire dei casi amorosi che diversamente accadeno, non apra l’orecchie e metta mente a ciò che si parla, a fine che impari alcuna cosa per sapersi, occorrendo il bisogno, governare, o noti quello che gli convenisse, trovandosi in si fatto laberinto, fuggire? Certamente io credo che sia di grandissimo profitto a l’uomo l’udire i ragionamenti altrui, mentre chi ascolta sappia, come si cava il grano fuor del loglio, sciegliere il bene dal male. Devete adunque sapere che essendo questi di una compagnia cosí d’uomini come di donne venuta qui a Montebrano a visitar madama Fregosa mia padrona, venne la nuova de la immatura morte del conte Gian Aloise Fiesco, che il mese passato in mare s’annegò. Egli ancora, per quanto se ne disse, non passava venticinque anni, giovine di grandissimo core, d’ottimo discorso ed innanzi l’etá di dritto giudizio, aiutato da le buone lettere che aveva e da l’ammaestramento del dotto e vertuoso messer Paolo Pansa. Ora si conchiuse, se in quel punto non moriva, che ei si faceva assoluto signor di Genova. Quivi furono vari i ragionamenti fatti dei casi suoi, secondo che vari erano i pareri e l’affezioni di chi parlava. Nondimeno non ci fu persona cosí de la nazion nostra italiana come de la francese, che mirabilmente non lo commendasse, essendosi molte sue rare vertú e doti raccontate