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NOVELLA XXXVII 321 se non per dar ammaestramento a chi governa popoli e a tutti eli altri fedeli che debbiano esser solleciti d’intendere che ope- nion s’ha di loro, a ciò che nel bene possano perseverare e dal male distorsi. E nel vero i prencipi poco bisogno d’altro hanno che d’aver persone integre, sincere e 'vertuose, che loro dicano la verità amorevolmente senza fuco ed ipocrisia. Di questi tali ne deverebbero appo loro sempre tenere e non voler far come molti fanno, che si credono del pruno far un melarancio, per non dire d’un asino un corsiero. Ma io son troppo vagato, perciò che da fanciullo fin ora avendo praticato in molte corti, assai ben so come far il più de le volte si suole. Ora vi dico che quei cortegiani che stavano appo il re Odoardo non erano de la buona scola, ma erano adulatori ed uomini di poco giudizio e pessima natura, perciò che senza pensar troppo a la fine de le cose tutti bandirono la croce contra il conte Ricciardo, moglie, figliuoli, figliuola, e chi più disse di male da più si tenne e pensò molto saggiamente aver parlato. Che forse quando il conte o i suoi figliuoli vi fossero stati presenti, molti di quelli averebbero tenuta la lingua ne la strozza e fra’ denti e, come proverbialmente si dice, messa la coda fra le gambe, e non sarebbero stati osi d’aprir bocca. Ora la conchiusione fu che la maggior parte di loro essortò il re a mandar per forza a pigliar Aelips e menarla al palazzo, e mal grado di lei far di lei ogni sua voluntà, dicendo che non stava bene che una femina devesse schernirsi del suo re e ai desidèri di quello non le convenisse mostrar tanta schi- vezza. Vi furono ancora di quelli che venduto il pesce avevano, i quali s’offersero d’andar eglino in persona a prenderla, e non volendo ella di grado venire, tiramela per i capegli. Il re che l’adirarsi da dovero a l’ultimo si serbava, non volendo ancor usar la forza, volle prima tentar l’animo de la madre d’essa Aelips e a lei mandò il suo fidato cameriero che del tutto era ottimamente instrutto. Il quale subito andò a ritrovar la contessa e dopo le convenevoli salutazioni le disse: — Il re nostro sire, signora contessa, molto affettuosamente vi saluta e per me vi fa intendere che egli ha fatto cosa a lui possibile, e forse più che non se gli conveniva, per acquistar la buona grazia e l’amor M. Bandello, Novelle.