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250 PARTE SECONDA domandò se senza impedir i nostri ragionamenti, poteva esser de la nostra brigata. Tutti gli rispondemmo che fosse il ben venuto e che era come il zucchero che vivanda non guasta già mai. Venne e ci salutò, e da noi risalutato s'assise. E domandandone che ragionamenti erano i nostri, messer Gian Battista Rinucci, che ci narrava la novella di Lodovico fiorentino e di madonna Beatrice moglie d’Egano dei Galluzzi da Bologna, gli rispose che narrava la tal novella e, se voleva, che da capo la ricominciarebbe. — No no — soggiunse egli; — seguitate pur ove voi il parlar vostro tralasciato avete, perché credo che molti che qui sono l’abbiano udita raccontare o letta, e per aventura ci può esser chi non la sa: a quelli forse rincrescerebbe il replicare ed a questi basterà una volta udirla. Era quasi al fine messer Gian Battista del suo novellare, onde quella in poco d’ora fini. Si cominciò tra gli ascoltanti da alcuni a dire che gran cosa pareva loro che un gentiluomo, come era Lodovico, si fosse messo per servidore d’un altro suo pari o forse anco da meno. Altri dicevano che non è gran cosa, se si considera quanto potente sia la forza de l’amore quando egli è abbarbicato in un cor nobile e generoso. E su questo si dissero assai parole secondo la varietà de l’openioni di coloro che ragionavano sovra questa materia. E andando la disputa in lungo, Vespasiano a questo proposito ci narrò una piacevol novella, la quale essendomi molto piacciuta, come io fui a l’albergo, fu da me scritta e con l'altre mie novelle messa in un coffano. Ora avendomi fatto venir d’Italia alcuni forzieri di mie robe con quella parte de le mie composizioni cosi latine come volgari, in verso e in prosa, che mi rimasero quando gli spagnuoli in Milano la mia stanza svaligiarono, e che ogni cosa andò a sacco e queste da un amico mio furono salvate, deliberai riveder quelle novelle che ci erano. Cosi venutami a le mani quella che Vespasiano alora narrò, feci pensiero che al nome vostro fosse intitolata, il che alora misi in essecuzione, ponendole il nome vostro ne la fronte come a tutte l’altre faccio. Per lettere poi de la signora Auriga Gambara già moglie de l’illustre signor Pietro Fregoso di Novi, ho veduto che voi vi séte meravigliato che io non