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NOVELLA XXXI ocelli passando dinanzi a la casa di lei le fece riverenza, quasi da lei che a la finestra era prendendo congedo. Aveva poi lasciato un suo servidore consapevole di questo suo amore, che' fosse diligente in spiare ed intender tutto ciò che Laura faceva. Andò Gian Battista a Roma e ne l’andare vide di belle città e donne. A Roma poi ne vide pur assai, ma nessuna mai ne vide che gli paresse si bella come Laura. La madre di lui, come vide fatte le nozze di Laura, subito scrisse al figliuolo che ritornasse, il quale non aspettate le seconde lettere a buone giornate tornò a casa. Come fu smontato, abbracciata la madre, si ridusse a la camera a cavarsi i panni cavalcareschi e vestirsi; e domandò al servidore che era di Laura. — Male — rispose egli, — perché è maritata nel tale e le nozze son fatte. — Credette Gian Battista a questa nuova morire. Pur fatto buon animo, montò a cavallo e andò a trovar Laura, e la ritrovò che era in porta con una parente di suo marito. Come la vide, subito la conobbe, ma si meravigliò forte che la vide con un occhio accecato. E giunto dove era, la salutò ed ella gli disse che fosse il ben ritornato. Egli si rallegrò seco che fosse maritata, mostrando allegrezza dei piaceri di lei; poi gli disse che si condoleva de la disgrazia che l’era accaduta. — E qual disgrazia? — disse ella. — La disgrazia de l’occhio — soggiunse egli — che io vi veggio aver perduto. — La giovane, che era accorta, alor gli disse: — Ed io vosco di core mi rallegro che abbiate ricuperati tutti dui gli occhi vostri. — Era fin da piccolina sempre stata Laura con un occhio guasto; ma o fosse il giovine troppo accecato ne l’amor di lei o la gelosia che era a la finestra l’avesse impedito, mai non se n’era accorto. Cosi adunque Amore gli incauti amanti acceca.