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NOVELLA XXVI ‘49 quella vostra singoiar cortesia ed umanità che a tutti vi rende riguardevole. State sana. NOVELLA XXVI Luchino Vivaldo ama lungo tempo e non è amato; poi essendo in libertà sua di goder l’amata donna, se n’astiene. Io non potrei dirvi, molto vertuosa signora mia, quanto caro mi sia Tessermi oggi trovato qui in questa onorata compagnia, si perché dapoi che io pratico in casa vostra sempre ho trovato che ci sono ragionamenti piacevoli ed onesti, ora di lettere, ora d'arme, ora di casi fortunevoli cosi d'amore come d’altri accidenti, ed ora d’altre cose sempre vertuose; ed altresì perciò che non ci vengo mai che io non mi parta con aver imparato alcuna cosa. Son molti di che io ho sentilo dire in molti ragionamenti: « Costui è dei cacatocci di Milano », ma non m’è mai venuto fatto di poter intender a che fine si dicesse; ed ecco che oggi, non lo cercando, l’ho inteso senza ricercarne altrui, ché io fui più e più volte per dimandarne, ma impedito da altri miei affari, non so come, rimaso me ne sono. Ora venendo a quello che mosso m'ha in questo nobilissimo consesso a ragionare, vi dico che le lodi che date si sono al signor duca Francesco gli sono state meritevolmente date, con ciò sia cosa che in vero egli fu uomo eccellentissimo e gloria de la milizia italiana. Il quale se si fosse trovato a quei buoni tempi quando la repubblica romana fioriva, giovami di credere ch'egli a nessuno di quei grandi Fabi, Marcelli, Pompei e Cesari sarebbe stato inferiore. Di Scipione la gloria è tale, cosi è da' greci e da' latini celebrato, che per altrui parole né scemar si può né accrescere. Ma che direte voi se parlando di continenza io vi porrò qui in mezzo un privato cittadino, ch’assai più lode di questi dui tanto più merita quanto che la sua continenza fu vie maggiore? Né di questo altri giudici voglio che tutti voi che qui séte. Vi dico adunque che la famiglia dei Vivaldi ne la città nostra di Genova è sempre stata in bonissima riputazione, e ci sono stati in quella uomini ricchissimi e molto amatori