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NOVELLA XXVI '47 Spagna contra i cartaginesi e spagnuoli, onde avvenne un giorno che si fece un bottino di molte cose, tra le quali era una bellissima giovane fatta cattiva, la quale era stata sposata da Luceio che era il principal gentiluomo tra i celtiberi. Veggen- dola Scipione tanto bella che ciascuno a lei per contemplarla, tratto da la incredibil bellezza di quella, si voltava, non solamente non si volle amorosamente con lei giacere, ma come sorella propria onestissimamente la fece guardare, e fatto a sé a Cartagenia il di lei sposo sotto la fede venire, a quello la restituì e l’oro, che i parenti de la giovane avevano recato per ricuperarla, gli donò sovra la dote. Che direte voi qui? Non fu Scipione aggiurato per vertù d'alcuno dio, non fu da la giovane né da altri pregato, e per sola generosità d’animo, per amor solo de la vertù, volle e si seppe volontariamente dagli abbracciamenti de la bellissima gio- vanetta astenere. Non era Scipione cristiano, né so se idolatro lo debbia chiamare. E quando avesse voluto libidinosamente goder l'amor de la giovane, non ci era chi biasimato l’avesse, perciò che appo i romani non si reputava peccato, e se era tenuto mal fatto, non ci era pena, perciò che la giovane non era vergine vestale. Si che per mio giudicio, quale egli si sia, io crederei che il mio Scipione meriti più d’esser ammirato e commendato che il vostro duca, rimettendomi perciò tuttavia a chi sa più di me. — Cosi questionandosi variamente secondo che gli affetti degli uomini sono diversamente inclinati, e nondimeno lodando tuttavia il capitano sforzesco e Scipione come nel vero in simil caso meritano esser lodati, la signora Ippolita, che fin a quell’ora era sempre stata intenta ai ragionamenti che si facevano, tutta ridente disse: — Se a me che donna sono fosse lecito, tra tanti elevati spiriti quanti qui sono, di dir il mio parere, so ben io ciò che di questi dui eccellentissimi uomini direi. — II signor Giacomo Gallerate, che quivi era, subito soggiunse: — Signora mia, se io fossi messer Lorenzo Toscano, io non vi vorrei per giudice, ma vi allegarci per sospetta, perciò che voi séte troppo in questo caso interessata, essendo stato il duca Francesco avo del signor Carlo Sforza vostro padre. Potria ben forse avvenire che voi fareste come fanno i nostri cacatocci di Milano, i quali