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NOVELLA XXII 99 che infermità fosse quella de la sua donna, fece venir a visitarla i più solenni medici di Napoli; ma nessun profitto al male de la donna apportavano le lor medicine. Ed essendo già tanto la passione del core cresciuta che in tutto le forze del corpo s'erano perdute e smarrite, né rimedio alcuno trovandosi che le giovasse, ella che vicina a la morte si vedeva, fattosi venire un venerabil sacerdote, a lui di tutti i suoi peccati si confessò. Il padre sacerdote, udendo si strano caso, l'essortò assai a deporre questa fantasia e pentirsi che di se stessa ella fosse stata micidiale. Difficile fu levarle questo suo farnetico di capo e fare ch’ella si pentisse. Pure ebbe tanta grazia da Dio col mezzo de le divote e sante essortazioni del frate, che ella conobbe in quanto periglio era di perder non solamente il corpo, ma di mandar l'anima in bocca a Lucifero; onde venne in tanta contrizione che con infinite ed amarissime lagrime si riconfessò e divotamente domandò perdono a Dio, e volle che il marito sapesse tutti i casi suoi. Fecelo adunque chiamare, e a la presenza del frate tutta l’istoria de l’amor del marchese di Cotrone verso lei e di lei verso lui, e la costanza di quello e le savie risposte da lui avute, pun- talmente gli narrò e con debole e roca voce umilmente gli chiese perdono. Dapoi ricevuti con divozione i santi sacramenti de l’eucarestia e de l’estrema unzione, dui giorni visse e ben pentita se ne morio. Il marito che sommamente l’amava e dui figliuolini maschi, di dui uno e l’altro di tre anni, n’aveva, né perché ella avesse avuto tal voglia la disamava, assai la pianse e del morir di lei mostrò gran dolore. L’essequie si fecero a la foggia di Napoli pompose e belle. Ed essendosi sparsa la fama de la cagione di questa morte, il marchese ne rimase molto di mala voglia e stava in dubio se deveva mandarsi a condoler col Tomacello o no. A la fine v’andò egli in persona e fu raccolto graziosamente. Al quale il Tomacello narrò il tutto e sempre l’ebbe per grande e special amico e per il più da ben cavaliero che si trovasse. Fu la donna sepellita ne la chiesa di San Domenico, a la cui sepoltura fu attaccato questo sonetto, fatto da non so chi: