attaccasse il suo corsiero ad uno di quegli arbori, ed egli altresí
dismontò dal suo e lo legò ad un tronco. Come tutti dui furono
a piedi, attendendo Beltrando ciò che questo volesse dire, il
duca alora cacciata la sua spada del fodro, con alta e ferma voce
gli disse: — Beltrando, metti mano a la tua spada e da me ti diffendi
fino che tu puoi, ché io non vo’ vantaggio nessuno da te.
Sforzati pure di far ciò che tuo padrone che qui ti mandò t’ha
comandato, perché io so che tu sei venuto in casa mia per uccidermi. — A queste parole il tedesco tutto sbigottito, cavatasi
la spada e quella tratta via, s’inginocchiò e con le braccia in
croce domandò perdono al duca, dicendo che era vero ciò che
egli diceva, ma che veggendo il bene ch’egli fatto gli aveva, s’era
pentito e l’aveva fedelmente servito e che contra lui non prenderebbe l’armi giá mai. Filippo alora gli rispose: — Or via,
vatti con Dio con ogni cosa del tuo e fa’ che piú non ti veggia
su lo stato mio, ché tu sei un vile e codardo non ti dando
l’animo d’essequire ciò che il tuo padrone t’ha comandato. —
Il tedesco si parti con piú prestezza che non si dá la fava la
notte dei morti. Or sarebbe un bel disputare se il tedesco restò
d’essequir l’impresa per viltá o per le carezze e beni ricevuti
dal duca, e se questa opera di Filippo, ancor che avesse buon
fine, è degna di lode o di biasimo. E questa questione lascierò
io, madama, al vostro conseglio ed a questi signori; ed io fin
qui avendo ragionato, ascolterò ciò che se ne dirá.