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novella xxxviii 75

IL BANDELLO

al valoroso signor

luigi gonzaga detto rodomonte

marchese


Si fanno molte fiate de le cose le quali, innanzi che la fine loro si sappia, molto mal agevolmente si può giudicare se sono di buona sorte o cattiva, seguendo quella regola generale che ogni cosa sortisce la denominazione sua dal suo fine, e quella il cui fine è buono si dice buona, ove per il contrario quella il cui fine è tristo sará anco ella chiamata trista. Sono anco molte operazioni umane de le quali senza che la fine loro si veggia, se tu dirai a uomo di giudicio: — Io vorrei far cosí per tale e tal rispetto, — egli ti saperá molto ben dire se son cattive o no, ben che talora paia che il fine sia riuscito buono. E di questa sorte si veggiono esser infinite azioni ed opere dei prencipi e grandi uomini i quali il piú de le volte, massimamente essendo giovini e nodriti licenziosamente, metteno fuor di proposito la vita loro a pericolo di morte e di perder in un tratto lo stato e la vita ed insiememente l’onore. Ed ancora che talora si consegua il desiato fine, nondimeno si vede la cosa esser fatta sí fuor di ragione che non può colui che la fa, schifare che maestro Pasquino non canti e dica che molto bene gli sarebbe avvenuto che andando cercando il male, come fanno i medici, se il malanno gli fosse dato; come ben sovente ho sentito dire del signor Gianfrancesco marchese di Mantova vostro zio, il quale ne la sua gioventú andava per Mantova la notte tutto solo con la spada e la rotella, e con quanti s’abbatteva voleva a mal grado loro venir a la mischia e con l’armi far questione, e la faceva il piú de le volte; e non essendo conosciuto ritrovava talora chi lo pettinava senza pettine e gli dava de le