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novella xxxviii | 69 |
IL BANDELLO
al molto magnifico signore
il signor
gianfrancesco uberto
il cavaliere
salute
Vi devereste senza dubio, signor mio, ricordar de la beffa che in Mantova fu fatta a quel nostro amico dal servidor siciliano di cui tanto si fidava, e ciò che alora il gentilissimo messer Benedetto Mondolfo ne disse al signor Carlo Uberto vostro zio. Era piú in còlerá esso signor Carlo de la beffa fatta che non era l’amico che ricevuta l’aveva, che ne restava con il danno e con le beffe. E in effetto la segretezza non sta se non bene in tutte le cose e massimamente ne l’imprese amorose, conoscendosi chiaramente che ogni minima paroluccia che si dica macchia assai spesso l’onore d’una donna, che è pure il piú bel gioiello che esse possano avere. Ora non è molto che ragionandosi qui in Mantova ne la sala di San Sebastiano tra molti gentiluomini di colui che sovra il tetto d’una casa passava per entrar in casa d’una sua innamorata, il molto costumato e gentil messer Gian Stefano Rozzone, che poco innanzi era tornato da la corte del re cristianissimo, narrò una breve novella che a tutti piacque. Ed avendola io scritta secondo che il Rozzone narrata l’aveva, quella vi dono e sotto il vostro nome voglio che sia letta. Voi con quella solita vostra umanitá degnerete accettarla, con la quale a tutti e cortese ed umano vi dimostrate, di maniera che chi vuol dir la cortesia stessa dica il cavalier Uberto e nel vero non si falla. Taccio quanto umanamente ogni dí di conseglio e aita sovvenite a coloro che deveno in duello combattere ed a voi ricorrono. Ma chi tacerá la cortesia che in casa