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novella xxxv 57

e il marito e la moglie, la quale guardava in cagnesco il frate con sí brutti atti che proprio sembrava spiritata. Non avevano a pena cominciato a desinare che venne un servidore e disse: — Messere, egli è a basso un messo del magnifico messer Tomaso Trono che vi vuol dir una parola. — Si levò messer Pancrati ed uscí di sala. Non fu egli sí tosto uscito che la donna con una fierissima guardatura al frate rivolta disse: — Ahi traditore e non buon da altro che da cacare, come hai tu ardire venirmi innanzi? — Il frate si fece il segno de la croce e cominciò a dire il «Verbum caro», e la donna pure il minacciava; ed ecco che il marito ritornò, al cui ritorno la moglie restò cheta. Né guari stette che fu di nuovo, com’egli giá aveva ordinato, chiamato fuori; ed uscito che fu, l’adirata donna con minacciose parole ed atti strani, come se avesse voluto cavar gli occhi al frate, disse: — A la croce di Dio, frate poltrone, se mai t’esce parola di bocca di ciò che tu sai, io ti farò il piú dolente uomo del mondo. — Il frate umanamente le rispose dicendo: — Madonna, Iddio vi sani e liberi da le mani del demonio. — Ed ecco che il marito tornò, parendoli che avesse fatto conoscer al frate il mal de la moglie e a lei cavato di core l’amor del frate. E veramente egli si portò saggiamente, e non volle quando vide la lettera de la moglie bravar con lei né ammazzarla, ma del modo che avete udito quella castigò. Finito il desinare, partendosi il frate, messer Pancrati lo pregò che ne le sue sante orazioni si ricordasse di lui, e per l’avvenire ebbe destramente gli occhi a l’operazioni de la moglie a ciò che non gliene facesse un’altra.