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IL BANDELLO
al magnifico e vertuoso
messer
emilio degli emili
Sono, si come sapete, giá alcuni anni che io cominciai a scriver le mie novelle secondo che dagli amici m’erano narrate e per altra via mi venivano a le mani; ed avendone giá scritte molte, fui a mal grado sforzato d'abbandonar Milano per la cagione clie giá vi dissi e d'andarinene peregrinando variamente per Italia. Tornato poi che fui a Milano, trovai con mio grandissimo dispiacere che dai soldati spagnuoli alcuni miei coffani erano stati sconficcati, pensando forse trovarvi dentro un gran tesoro; ma veggendo che altro non c’era che libri, ne portarono via una gran parte e lasciarono i forzieri aperti, di maniera che oltra i libri stampati mi furono rubati molti scritti di mia mano, cosí mie composizioni come di molti belli ingegni de l'etá nostra che io aveva raccolti essendo a Roma, a Napoli e in vari altri luoghi. E tra Paltre cose mi rubarono la maggior parte de le mie rime ed alcune novelle insieme con quel mio gran volume dei vocaboli latini da me raccolti da tutti i buoni autori che a le mani venuti m’erano, il quale tanto vi piacque quando lo vedeste. Di questo libro piú mi grava la perdita che di tutti gli altri, perché mai piú non mi verrá fatto che io abbia l’ozio di durar piú tanta fatica, e ben che io avessi l’ozio, non averò piú la copia di tanti libri quanti alora aveva. Poi è morto il non mai a pieno lodato e degno di viver molti secoli, il dottissimo messer Aldo Manuzio, col cui mezzo non si stampava libro ne la Magna, in Francia e in Italia che io subito non l’avessi. Si che io sono fuor di speranza di mai piú metterlo insieme. Ora avendo io ricuperati alcuni fragmenti cosí de le mie rime come de le novelle, mi son messo a trascrivere esse novelle ed anco — secondo che di nuovo alcuna n’intendo — scriver e come a le mani mi vengono a