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novella xxxiv 39

rimedi. Fate buon animo. — Questo sentendo ser Gandino si fece innanzi e disse: — Domine magister, vedete ed intendetemi bene e sanamente, ché talora voi non vi dessi ad intendere ch’io fossi un sempliciotto che non intendessi i casi miei, lo son ben contento che voi tocchiate il corpo de la mia consorte, se cosí ricerca questa sua infermitá e che senza questo non si possa medicare; si si, io son contento. Ma da voi infuora, non pensate giá che io sofferissi che uomo del mondo, sia chi si voglia ed abbia nome come si voglia, le mettessi le mani su la carne. No no, noi crediate che io lo sopportassi. Io non lo comportarci a chi si sia; bene sta che io sofferissi coteste cose. Io amo l’onor mio quanto un altro, ma ne le cose de le donne io non voglio compagno né amico né parente. Intendetemi voi? Toccate destramente. — Il Carenzone che era astutissimo ed averebbe fatta la salsa agli spoletini, e per esser giá lungo tempo pratico in casa sapeva gli amori de la Zanina come ella aveva posto il braccio in capo a questo ser capocchio e di modo con la camarra imbrigliato che non si poteva volgere se non quanto ella voleva, fu quasi per scoppiare de le risa; pur si ritenne e con buon viso gli disse: — In fé di Dio, compare, e’ si vuol far cosí. Chi vuol aver moglie da bene faccia come voi. — Ben sapete, messer mio, che questa è la vera strada di tenere le femine in cervello. Voi séte per Dio un savio par vostro e me ne rallegro con voi. Attendiamo a questo di bene in meglio. Ma ditemi, che vi pare del male de la Zanina? — Ella non aveva male — rispose il medico, e fattosi dar da scrivere ordinò alcuni ogli per unger il corpo de la donna ed un cristero che pigliasse la seguente matina a buon’ora. Fatto questo, gli parve un’ora mille anni che corresse a dire questa castroneria di Gandino a la signora Clarice. Se vi fu da ridere e da beffarsi del bergamasco, pensatelo voi, parendo a la signora e a tutti gli altri che d’ora in ora, de le sciocchezze, goffitá e pazzie di questo bestione nascessero nuovi soggetti da far ridere i sassi. Come giá si è detto, temeva sempre Gandino che Zanina non si morisse di fame e la cibava con polpe di perdici ed ova fresche tre e quattro volte il giorno, e la notte anco le faceva mangiar «manuscristi» ed altri confetti. Ella che on si vedeva mai sazia